Astronomia per sognare

L’astronomia è, tra le discipline scientifiche che seguo, quella che mi fa più sognare; in questa pagina mi riprometto di riportare periodicamente curiosità, notizie e un po’ di nozioni su questo fantastico mondo.

 

GRAVITA’ E DENSITÀ
Uno degli aspetti più affascinanti dell’astronomia è quello del destino delle stelle, una volta terminato il combustibile nucleare. Ineluttabile è il sopravvento della gravità, ma diverso è il finale della storia a seconda della dimensione dell’astro. In ogni caso ciò che rimane è una palla di materia supercompressa, la cui densità parte da una tonnellata per cm3 e giunge a valori infiniti! Proprio la questione della densità ho cercato di approfondire…
Partiamo da un concetto semplice, per quanto non proprio intuitivo: qualunque massa, anche la più piccola, implica la presenza di gravità. Perfino un granello di sabbia genera attorno a sé un campo gravitazionale, ma i nostri sensi ci permettono di intuire la cosa solamente per corpi di grandi dimensioni. Dalla Terra possiamo staccarci con un salto solo per un attimo, per poi ripiombare verso il basso. Per raggiungere la velocità di fuga e poter quindi sfuggire all’attrazione gravitazionale del nostro pianeta dovremmo allontanarci dal suolo con una velocità di 40.000 km/h (11 km/sec). Se ci trovassimo sul Sole, tale velocità dovrebbe toccare i 2.000.000 km orari (624 km/s). In base a questi semplici dati, possiamo inoltrarci in una serie di speculazioni, cosa che fece già nel Settecento l’inglese Michell, intuendo che una massa ancora più grande avrebbe creato un campo gravitazionale talmente intenso da impedire di sfuggire anche alla luce.
Alle medesime conclusioni giunse pochi anni dopo anche il francese Laplace, aggiungendoci un dettaglio che ci permette di entrare nel nocciolo della questione. Laplace tirò in ballo infatti anche la DENSITÀ del materiale, concludendo che nello spazio potrebbero esistere stelle con densità maggiore rispetto a quella del nostro Sole, alle quali non servirebbe dunque essere particolarmente massive per catturare la luce nella loro morsa gravitazionale.
Le ricerche continuarono a gran ritmo, con personaggi che illuminarono il progresso scientifico con grandiose intuizioni e studi certosini; ma ciò che volevo introdurre era proprio il concetto di densità, che si esprime in massa (misurabile in kg) su un volume dato.
Uno strano materiale
La temperatura al centro del Sole è di 15-16 milioni di gradi Kelvin (la scala Kelvin è graduata come la Celsius, ma lo zero Kelvin coincide con i -273 Celsius), la pressione stimata tra i 250 e i 500 miliardi di atmosfere, la densità nel nucleo di circa 150 g/cm3, oltre 13 volte quella del piombo. Pur trovandoci a valori ancora relativamente “normali”, nel nucleo di una stella come il Sole esiste una sorta di fluido bollente chiamato plasma, nel quale i fortissimi urti tra gli atomi causati dagli enormi valori di temperatura e pressione staccano gli elettroni dall’orbita e fanno in modo che gli atomi, liberi dalla loro nube elettronica, sono in grado di muoversi e scontrarsi l’uno contro l’altro come biglie di plastica; in sostanza a queste condizioni un materiale solido si comporta come un gas! Sembra un controsenso, eppure siamo in presenza di qualcosa di talmente denso da sembrare… aria!
La situazione rimane per un tempo più (miliardi di anni) o meno (milioni) lungo in equilibrio tra la gravità, che vorrebbe “concentrare” l’astro al proprio centro, e le reazioni termonucleari che tenderebbero invece a far esplodere la stella. Ma questo gioco all’elastico non può durare per sempre: una volta esauritosi il carburante nucleare, ecco entrare in gioco la gravità la forza più debole tra le quattro fondamentali dell’universo, ma la più subdola.
Nane degeneri
A questo punto si gioca il destino della stella; se la repulsione elettromagnetica che si esercita tra i nuclei atomici e quella tra gli elettroni riesce in qualche modo a tenere a bada la gravità, il suo destino è quello di diventare una nana bianca, una stella dalle dimensioni simili a quella della Terra, la cui densità è da 100.000 a 1 milione di volte quella del piombo (un centimetro cubo pesa quindi fino a 10 tonnellate), con temperature di circa 100.000 Kelvin ed una elevatissima gravità superficiale. Nella nana bianca l’edificio atomico in qualche modo resiste, pur essendo gli spazi interatomici annullati.
Palle di neutroni
Se la massa di partenza è superiore a 10 volte quella solare (ma inferiore a 30), quando la pressione fornita dal carburante nucleare si esaurisce anche la repulsione tra i nuclei atomici non può contrastare la gravità. Essa stritola tutto portando a contatto protoni ed elettroni riducendo il corpo celeste a un agglomerato di neutroni di pochi chilometri di raggio. La densità è di circa un milione di miliardi di volte quella dell’acqua; in queste condizioni, un centimetro cubo di materia pesa mediamente un miliardo di tonnellate! In quelle condizioni la forza di gravità dell’astro è cento miliardi di volte più intenso di quello della Terra e la velocità di fuga un terzo di quella della luce.
Buco nero
Se la massa di partenza è 25-30 volte quella solare, anche la resistenza tra i singoli neutroni viene vinta. La materia ordinaria viene letteralmente annullata, e a questo punto è meglio lasciar cadere il discorso… perché ogni considerazione basata sui principi della fisica classica perde significato. Ha infatti senso parlare di “densità infinita”? Non lo so e non è il caso di approfondire; l’unico risultato sarebbe quello di farsi venire un bel mal di testa!
La seguente immagine riassume graficamente quanto detto.

Per approfondimenti:
https://hypertextbook.com/facts/MichaelErber.shtml
https://hypertextbook.com/facts/1998/AnthonyColgan.shtml

 

SULLA LUNA
Domanda apparentemente banale: la Luna è visibile solo di notte? No, la Luna compie un moto di rivoluzione attorno alla Terra in 29 giorni che, abbinato ai moti terrestri di rotazione attorno all’asse e di rivoluzione attorno al Sole, le fa assumere posizioni sempre diverse. Nei giorni in cui la luna è invisibile o la falce è appena accennata la Luna è “in fase” con il tragitto del Sole, ovvero i due astri sorgono e tramontano più o meno insieme; poi, con la parte illuminata in crescita che “guarda” verso il Sole (ovest), il nostro satellite sorge sempre più tardi, fino a sbucare dall’orizzonte nel pomeriggio. Quando la Luna è piena, alba e tramonto lunari sono grosso modo invertiti rispetto a quelle solari. Si può quindi concludere che sì, la Luna in determinati periodi del “mese lunare” è visibile anche durante il giorno. Per esempio, il giorno 3/7/2008 la Luna (luna nuova, ovvero completamente oscura) sorge a Bolzano alle 5.37 e tramonta alle 21.31; il giorno 10 (visibile per metà) sorge alle 13.58 e tramonta alle 00.09; quando la Luna è piena (18/7) sorge alle 21.01 e tramonta il mattino dopo alle 5.36. Nel momento in cui è visibile l’ultima metà (25/7) si osserva il suo sorgere alle 23.51 e il tramonto alle 13.34. E per una località posta sull’altra faccia dell’emisfero boreale, a una distanza di 180 gradi di longitudine da Bolzano? Il buon senso fa ritenere che vi sia una differenza di circa 12 ore, e infatti grazie a questo sito ho verificato che è proprio così (teniamo ovviamente presente i differenti fusi orari!).

MERCURIO
È curioso pensare che il cosmo, con tutta la sua sterminata profondità, ci offra configurazioni al limite dell’immaginabile a pochi passi dalla nostra Terra. È il caso di Mercurio, il pianeta del Sistema Solare più vicino al Sole, “solamente” 60 milioni di chilometri. Ebbene, uno sventurato viaggiatore che si trovasse ad atterrare su di esso si troverebbe a sopportare estremi termici a dir poco spaventosi. Supponiamo che egli giunga proprio all’alba… per un attimo potrebbe pensare di avere trovato un luogo adatto al riposo. Ma dopo i primi raggi il termometro schizzerebbe rapidamente oltre i 400 gradi; non esistendo infatti un’atmosfera, nulla potrebbe contenere gli effetti del vicinissimo Sole. Il peggio giungerebbe in seguito, una volta constatato che un giorno di Mercurio dura circa 30 volte quello terrestre. Il malcapitato, dunque, per un po’ di sollievo dovrebbe attendere molto tempo. C’è da dire che il pianeta presenta lunghe e profonde fratture, tanto che all’interno di esse il sole non riesce mai a giungere. Lì la temperatura sarebbe molto più bassa, circa 160 gradi sotto lo zero. Spostandosi di poche centinaia di metri, dunque, il sempre più sventurato astronauta sperimenterebbe uno sbalzo di temperatura di quasi 600 gradi! Ma una volta giunta la notte egli potrebbe addirittura rimpiangere il dì appena passato, perché un gelo mortale, quasi 200 gradi sotto lo zero, ricoprirebbe in breve tempo ogni cosa. Se questo non è un inferno…

DALLA STELLA AL BUCO NERO
C’è chi divora romanzi gialli o cerca in TV un thriller per provare quel brivido che solo la paura può dare… eppure basterebbe guardare alla Natura per assistere a spettacoli di potenza mostruosa, tanto da violare le leggi stesse dell’universo!
È il caso della morte di una stella, uno degli eventi più catastrofici che possono verificarsi nel cosmo. Ma non sto parlando della morte di una “normale” stella come il Sole, che è destinato ad espandersi gradualmente fino all’orbita di Giove, inglobando con un abbraccio mortale anche la nostra Terra, e a trasformarsi dopo un’esplosione di terrificante potenza in una pallina di materia degenere, la cui densità non è nemmeno lontanamente immaginabile.
Mi riferisco piuttosto alla fine di stelle più massive, la cui morte apre una breccia nel tessuto spaziotemporale del nostro universo, dando vita a un vero e proprio “non-luogo” dove le leggi della nostra fisica classica non hanno più valore e concetti come “tempo” e “spazio” assumono significati a noi sconosciuti.
Leggere degli ultimi istanti di quegli astri è come sfogliare dieci libri di Stephen King contemporaneamente: l’epilogo è sempre e comunque un oblio pauroso, inevitabile, senza speranza di ritorno.
Ogni stella, questo è risaputo, rimane in equilibrio fino a che la pressione esercitata dalle reazioni nucleari che avvengono nel nucleo riesce a controbilanciare la forza di gravità. Quest’ultima è davvero una gran brutta bestia: essa prosegue nella sua opera, implacabile e instancabile, fino ad averla vinta. A volte devono trascorrere miliardi di anni perché ciò accada, ma la gravità non ha fretta: a sua disposizione ha tutto il tempo dell’universo. Esaurita la scorta di idrogeno, la stella entra in una fase di instabilità che può durare milioni di anni; nel frattempo essa produce un gran numero di elementi, veri e propri “semi” per nuove generazioni di stelle, galassie e, perché no, nuove forme di vita. Una volta giunta a forgiare il ferro, la fornace nucleare perde la sua sfida con la gravità. Ogni ulteriore reazione consuma energia, invece di produrne; a questo punto la pressione nucleare cessa di esistere.
Da questo momomento tutto si svolge in un lampo: gli strati esterni della stella vengono espulsi verso l’esterno con una gigantesca esplosione, e per qualche giorno la stella potrà brillare più di un’intera galassia; una sorta di uscita di scena in grande stile prima della catastrofe finale.
Ma è al resto della massa della stella che tocca la sorte più paurosa: essa collassa verso il nucleo alla velocità della luce, mentre la struttura stessa degli atomi viene stritolata. Si forma un ammasso di neutroni, ma la gravità e sempre più forte, e non c’è più nulla che possa opporsi al suo operato. Una volta vinta anche la forza di repulsione tra i singoli neutroni la densità e conseguentemente la gravità iniziano ad aumentare senza limiti.
Il dramma è all’ultimo atto: la densità raggiunge un valore infinito e il raggio dell’astro tende a zero: la massa iniziale, diverse volte quella del nostro Sole, viene compressa in un punto geometrico.
È chiaro che non c’è nulla in tutto il pianeta Terra che possa dare la più pallida idea delle forze in gioco e che nessuna nostra conoscenza può aiutarci a comprendere quanto succede in quel “luogo”, se così si può definire “qualcosa” che non ha più dimensioni fisiche.
La stella cessa semplicemente di esistere nel nostro universo; si crea quella che i cosmologi chiamano “singolarità” spaziotemporale, al cui centro un mostro gravitazionale, nascosto ai nostri occhi, divora tutto, anche la luce.
Più pauroso di così…

STELLE IPERGIGANTI!
A zonzo in internet ho scoperto che esistono anche stelle “ipergiganti”! Si tratta di stelle brillantissime con una massa vicina al limite massimo previsto dagli scienziati (130-150 volte quella solare), oltre il quale sembra sia impossibile la sopravvivenza di corpi celesti. LBV 1806-20 è una di questi colossi (non la più grande), situata a circa 45.000 anni luce dal nostro sistema solare nella costellazione del Sagittario, a ridosso del centro galattico. Ha un diametro 200 volte quello del Sole e sulla sua superficie sono stimate temperature tra 18 e 32 mila gradi… nel nucleo, quindi, i milioni di gradi si sprecano… questo significa tra l’altro che la stella sta consumando il proprio “combustibile” così voracemente che potrà brillare solo per qualche milione di anni (la nostra stella, invece, brucerà per diversi miliardi di anni). La luminosità di LBV 1806-20 è di oltre 5 milioni di volte quella solare e ha una magnitudine assoluta di -14,2. Si ricordi che più piccolo è il numero che esprime la magnitudine e più brillante è la stella: il nostro Sole ha una magnitudine di +4,8. Nascosta dai gas e dalle polveri galattiche, l’astro è comunque quasi invisibile dalla Terra.
Con un programma di grafica ho inserito un puntino di poco più di un millimetro di diametro che rappresenta il nostro Sole; ho creato poi una sfera duecento volte più grande; in questo modo si ha l’idea delle dimensioni di una stella del genere. Non avrebbe tanto senso pensare di piazzarla al centro del nostro sistema solare: essa ingloberebbe gran parte dei pianeti, Terra compresa ovviamente!

 

MAREE DI LAGO
Durante un week end passato sul Garda ho avuto modo di pormi una domanda: perché le maree di lago non modificano significativamente il livello dell’acqua? Dopotutto l’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna e dal Sole è la stessa che agisce sul mare!
Grazie agli amici del forum di Meteotriveneto ho svelato l’arcano: non conta, come pensavo, il volume dell’acqua sui cui viene esercitata la forza di gravità, ma l’ESTENSIONE della stessa. Negli oceani la differenza tra bassa e alta marea è più accentuata perché, occupando essi grandi porzioni del nostro pianeta, i loro estremi si troveranno sotto forze gravitazionali (esercitate dal sistema Luna-Sole) diverse, permettendo così all’acqua di fluire da una parte all’altra. Ciò non accade in piccoli bacini semplicemente perché la forza gravitazionale è praticamente costante sull’intero specchio d’acqua e quindi non c’è nessun motivo per cui l’acqua si debba muovere e si accumuli da una parte del lago rispetto a un’altra.
Qui però sorge un altro dubbio: l’onda di marea, da massimo a minimo, è lunga 1/4 del globo. Quindi anche in un mare poco esteso come quello Adriatico, per esempio, la marea dovrebbe essere poco apprezzabile! Come si spiegano allora le forti escursioni in altezza della Laguna di Venezia?
Navigando su internet ho trovato la spiegazione. In una pagina, ora purtroppo non più presente, si diceva tra l’altro: “[…] Inoltre proprio l’Adriatico ha la marea più ampia di tutto il bacino del Mar Mediterraneo: nelle sue zone più settentrionali l’escursione supera il metro. Non è l’azione diretta della gravità a provocare questa marea, che in un bacino relativamente piccolo come questo sarebbe abbastanza ridotta, ma è l’onda di marea indotta nel Mediterraneo che fa sì che il livello del mare nello stretto di Otranto oscilli su e giù: questa oscillazione agisce come uno stantuffo e provoca un’onda che si propaga dentro l’Adriatico. Quest’onda viene ruotata dalla forza di Coriolis e si riflette contro l’estremo nord del bacino, che è chiuso. […] Le massime ampiezze si hanno all’estremità settentrionale del bacino, in quanto l’onda di marea viene ulteriormente amplificata dall’acqua bassa.”

IL 13 DICEMBRE È IL GIORNO IN CUI IL SOLE TRAMONTA PRIMA IN ASSOLUTO; IL 3 GENNAIO È QUELLO IN CUI SORGE PIÙ TARDI NEL CORSO DELL’ANNO (QUESTO, OVVIAMENTE, SENZA CONSIDERARE L’EVENTUALE PRESENZA DI RILIEVI NEL LUOGO DI OSSERVAZIONE). LA GIORNATA PIÙ BREVE, PERÒ, È IL GIORNO DEL SOLSTIZIO D’INVERNO… COME SI SPIEGA?
Vanno premesse due cose:
1) La diversa durata del dì (periodo di luce nelle 24 ore) nel corso dell’anno dipende da due fattori. Uno è la variazione di DECLINAZIONE del Sole (la declinazione corrisponde all’altezza della nostra stella rispetto all’equatore celeste o, più semplicemente, rispetto a quella che ha nei giorni dell’equinozio, 21/3 e 23/9, giorni in cui essa è zero) che determina percorsi più o meno lunghi della nostra stella nel cielo; maggiore sarà la declinazione e più ore di luce potremo avere, al contrario quando la declinazione sarà negativa l’alba avverrà tardi e il tramonto presto.
2) L’eccentricità dell’orbita terrestre, che fa variare la VELOCITÀ DI RIVOLUZIONE della Terra; in questo modo il Sole non si muove sempre con la stessa velocità nel cielo, ma dipende dalla cosiddetta “equazione del tempo”, in funzione della quale il “sole vero” può essere in anticipo o in ritardo sul “sole medio”. La Terra, infatti, in prossimità del perielio (il punto dell’orbita più vicino al Sole, che per il nostro emisfero si raggiunge durante l’inverno) accelera il suo moto di rivoluzione, che invece diminuisce in estate. In combinazione con l’inclinazione dell’asse terrestre, si ottiene per l’equazione del tempo il seguente grafico, nel quale la curva ha due picchi positivi (il Sole rallenta) in estate e in inverno, e due picchi negativi (il Sole accelera) in primavera e autunno.

Grafico dell’equazione del tempo nel corso dell’anno

Ora che siamo a conoscenza di questi due elementi, va aggiunto che alle latitudini intermedie la declinazione ha la prevalenza per gran parte dell’anno, ed è quindi essa che determina la variazione dell’ora di alba e tramonto. Ma nei giorni attorno ai solstizi la declinazione varia di pochissimo, permettendo all’equazione del tempo di avere la prevalenza, rallentando il “sole vero”.
Il giorno 13 dicembre è quello durante il quale i due fattori concorrono ad anticipare al massimo il tramonto. Dalle effemeridi presenti su questo sito si può vedere come quel giorno il Sole a Milano cali alle 16:40. Nei due giorni successivi l’orario non cambia, poi si torna alle 16:41 e via crescendo.
Dal 5 gennaio la declinazione riprende ad avere il sopravvento, anticipando sempre più l’alba e ritardando sempre più il tramonto. La stessa situazione si ripete intorno al solstizio d’estate; il 14 giugno si ha l’alba più anticipata per effetto della forte declinazione positiva del Sole, poi inizia il breve periodo di prevalenza dell’equazione del tempo che ritarda il tramonto fino a portarlo all’ora più avanzata il giorno 28.
Da notare che alle alte latitudini l’entità dello spostamento di alba e tramonto derivante dalla variazione di declinazione è notevole, tanto che oltre i 66 gradi circa si osservano fenomeni come il “sole di mezzanotte” e la “notte polare”, mentre nei pressi dell’equatore la variazione di declinazione ha scarsa influenza sulla lunghezza dell’arco percorso dal sole e quindi l’equazione del tempo ritarda o anticipa alba e tramonto anche in periodi vicini agli equinozi.
Il concetto non è di facilissima assimilazione, ma si può riassumere così: la diversa velocità di rivoluzione della Terra attorno al Sole nel corso della sua orbita accelera o rallenta il moto del Sole nel cielo. Per questo il 13 dicembre è il giorno in cui il sole tramonta prima in assoluto e il 3 gennaio quello in cui sorge più tardi, pur rimanendo il giorno del solstizio d’inverno quello con il minor numero di ore di luce!

TRAMONTO SU MARTE

Tramonto ripreso dalla sonda Mars Exploration Rovers (fonte: https://antwrp.gsfc.nasa.gov)

Questa affascinante foto non può che sollevare un dubbio: perché il tramonto su Marte è blu?
Affrontiamo il problema per gradi, ponendoci una serie di domande: perché il cielo della Terra è blu? Ciò dipende da un particolare fenomeno ottico, lo “scattering di Rayleigh”. Le varie frequenze di cui è composta la luce solare (dal violetto al rosso) si comportano infatti in modo diverso quando attraversano le molecole dei gas che compongono l’atmosfera terrestre. La luce rossa, che ha come detto una lunghezza d’onda maggiore, tende ad attraversare le molecole (che sono molto piccole) senza venirne troppo influenzate; al contrario la luce blu, con lunghezza d’onda inferiore, viene riflessa in tutte le direzioni. Quando il sole è alto, quindi, è la luce blu-azzurra a essere diffusa in maggior misura e a colorare il cielo. La componente rossa, invece “prosegue indisturbata” il suo cammino verso la superficie terrestre e la luce solare, privata della parte blu, ci appare tendere leggermente al giallo. Provate infatti, con un editor grafico, a creare un rettangolo bianco e poi, con uno strumento di bilanciamento dei colori, a togliere un po’ di blu (quello che viene “perso per strada”)… il colore del rettangolo tenderà al giallo!
Altra domanda: perché il cielo al tramonto assume tonalità rossastre? Possiamo applicare lo stesso discorso: questa volta, però, la luce solare attraversa uno strato ancor più spesso di atmosfera, che tende a estremizzare l’impoverimento della componente blu, esaltando quella rossa che, oltretutto, si trova a subire anch’essa il fenomeno della diffusione dalle grosse molecole di vapore acqueo e altro pulviscolo presenti negli strati più bassi. L’effetto di questi ultimi acquista infatti importanza quando il sole è basso e i suoi raggi compiono un lungo percorso attraverso di essi.
La nostra atmosfera, in sostanza, si comporta come un filtro cromatico, che agisce in modo differenziato sulle varie frequenze anche in base all’inclinazione dei raggi solari.
E perché sott’acqua tutto tende al blu? Così come un oggetto risulta di un certo colore perché assorbe tutto lo spettro elettromagnetico nel visibile emesso dal Sole (ovvero l’insieme dei colori di cui è composta la luce bianca della nostra stella) tranne uno che viene riflesso (che è proprio quello di cui appare colorato), così anche l’acqua assorbe con più o meno efficacia tutte le frequenze d’onda tranne quella del blu.
Questa capacità diventa sempre più evidente man mano che ci si inoltra in profondità. Il rosso viene assorbito molto rapidamente e sotto i cinque metri non ve n’è più traccia. Questo spiega perché molti pesci e crostacei che vivono in profondità hanno colorazioni rossastre: agli occhi dei predatori appaiono neri, visto che la radiazione rossa non li può raggiungere e loro non possono rifletterla!
Altra divagazione: perché le nuvole sono bianche? Perché sono composte da particelle molto grandi, abbastanza da diffondere tutta la luce che le colpisce (attenzione: il colore scuro di alcune nubi dipende dal fatto che esse si trovano all’ombra di altre compagne o di alcune loro parti poste più in alto!).
Eccoci giunti al nocciolo: perché al tramonto su Marte la luce solare appare blu? Evidentemente le particelle costituenti l’atmosfera marziana sono di grandi dimensioni e tendono a diffondere la componente rossa tanto che al tramonto, quando il cammino della luce nell’atmosfera è molto lungo, essa non giunge per nulla in superficie. Togliendo infatti al nostro quadrato bianco la componente rossa, la sua colorazione tenderà al blu.
Ma perché allora Marte viene chiamato “il pianeta rosso”? Ciò dipende dalla frequente presenza di una grande quantità di ossidi di ferro in sospensione, sollevati dalle tempeste che si scatenano periodicamente sul pianeta.
Cielo rosso, tramonto blu… non è sognare questo?
N.B.: la qualità delle foto inviate sulla Terra dalle sonde della Nasa e le successive elaborazioni subite hanno destato non poche perplessità. È quindi possibile che i colori delle foto non rappresentino al meglio la situazione della superficie marziana. Non ci rimane che attendere il racconto dei primi uomini che sbarcheranno su Marte!

UNA NEBULOSA DA SBALLO
Quanti poveracci cercano lo sballo in “disco”, su auto potenti o grazie a pastigliette di vario genere? Per poi fare del male a sé stessi e agli altri… basterebbe invece un semplice telescopio puntato verso la Nebulosa del Granchio per farsi una “dose” da sogno!
È un modo un po’ particolare di presentare un corpo celeste, lo so, ma bastano alcuni numeri per andare fuori di testa: un ammasso di gas incandescente, con un diametro tra 50 e 100 mila miliardi di chilometri e una temperatura media di 15 mila gradi, in espansione a 1500 chilometri al secondo e al cui centro si trova un corpo ultradenso (un cucchiaino da tè di materia prelevato in superficie peserebbe più di un carro armato!), residuo di una stella di grande massa esplosa migliaia di anni fa che ha letteralmente annientato i pianeti che ruotavano attorno a essa.
La pulsar, così si chiama il corpo ultradenso nato da questo colossale fuoco d’artificio cosmico, è una “pallina” del diametro di poche decine di chilometri e ruota diverse volte al secondo attorno al proprio asse… ma nessuno si sogni di poterla avvicinare! Lungi dall’essere innocua, essa emette un fascio di radiazioni mortali e ha una densità tale da distorcere lo spazio e il tempo attorno a sé. Un viaggio nelle sue vicinanze sarebbe, dunque, senza ritorno.
Esplosioni di questo tipo se ne verificano spesso in giro per il cosmo. E quando a esplodere è una stella vicina alla Terra (si tratta di una vicinanza relativa, perché si parla comunque di molti anni luce) anche il nostro pianeta viene investito da una certa quantità di radiazioni ionizzanti. Si presume che molte delle grandi estinzioni di massa che hanno interessato la storia terrestre possano essere spiegate con il fenomeno delle supernove (o supernovae, se vogliamo usare il latino).
Quando sento certa gente buttare via il proprio tempo confabulando di tronisti e discoteche, di veline e bellimbusti vari, vorrei raccontare loro di queste meraviglie. Chissà se la loro visione del mondo cambierebbe.

LA VITA SU UN PIANETA DI M13
Supponiamo, per un momento, di poterci trasferire con la sola forza del pensiero a circa 25 mila anni luce dalla Terra, nell’ammasso globulare di Ercole. Gli ammassi sono delle specie di “città di stelle”, sparsi un po’ ovunque nell’universo, nei quali la concentrazione di soli è decisamente elevata. L’ammasso in questione è visibile anche dalla Terra (fa parte della costellazione di Ercole), ha un diametro di 82 anni luce e può vantare circa 500.000 stelle.
Ebbene, una volta giunti su un pianeta che ruota attorno a una di quelle stelle, una delle prime cose che faremmo sarebbe quella di alzare gli occhi… ciò che potremmo vedere supererebbe qualunque meraviglia terrestre. Il cielo apparirebbe popolato anche in pieno giorno da migliaia di stelle; ma il vero show inizierebbe una volta tramontato il sole principale: almeno una decina di stelle apparirebbero più luminose della nostra Luna piena; un altro centinaio sarebbero più luminose di Venere, un migliaio più splendenti di Sirio e così via. Uno scenario da mille e una notte, considerato anche il fatto che ogni stella sfoggerebbe un colore diverso: giallo, azzurro, rosso, oro, blu, arancio…
La vita per gli astronomi locali sarebbe, però, piuttosto grama: l’eccessiva luminosità dei corpi celesti appartenenti all’ammasso impedirebbe l’osservazione di tutto ciò che si trova più in là. Essi ignorerebbero quindi l’esistenza delle galassie, dei buchi neri, delle pulsar e di tante altre meraviglie cosmiche.
A pensarci bene la posizione della nostra Terra non è poi così sfortunata…

AGOSTO, TEMPO DI METEORITI
Approfitto del passaggio delle Perseidi (lo sciame meteoritico che investe il nostro pianeta nel periodo tra luglio e agosto) per approfondire un po’ il discorso riguardante le stelle cadenti che, come molti già sanno, non sono vere e proprie stelle che cadono dal cielo (si tratterebbe di una catastrofe che vaporizzerebbe la nostra minuscola Terra in una frazione di secondo!), ma semplici pezzi di roccia e/o parti di vari metalli (soprattutto ferro e nickel) che precipitano sulla superficie del nostro pianeta perché catturate dalla forza di gravità.
Sulle stelle cadenti si possono fornire alcune informazioni decisamente interessanti. Per esempio, non è l’attrito con l’atmosfera terrestre che genera il calore che le rende così brillanti; si tratta piuttosto di una “pressione dinamica” esercitata sulle molecole d’aria presenti di fronte al corpo in caduta libera, quando esso viene a trovarsi a un’altezza tra gli 80 e i 120 chilometri. Tale processo riscalda fino a 2500 gradi Kelvin (circa 2200 Celsius) le molecole d’aria e il meteorite, che inizia letteralmente ad incendiarsi e a perdere atomi per sublimazione e gocce di materiale fuso. In questo modo esso diventa visibile nel cielo, anche se (salvo rare eccezioni) solo per pochi secondi.
A questo proposito, va detto che un meteorite inizia la sua caduta con una velocità compresa tra i 10 e i 70 km/secondo (circa 36mila-250mila km/h), poi l’attrito frena la discesa fino a velocità dell’ordine delle centinaia di km/h.
Le dimensioni delle stelle cadenti sono le più diverse: si va dai granelli di riso a corpi di chilometri di diametro e, ovviamente, l’effetto della caduta sulla Terra è proporzionato! Sembra che per giungere a toccare terra la dimensione iniziale del meteorite debba essere di almeno 50 metri di diametro; meteoriti di oltre 100 metri sono già in grado di distruggere un’intera città. Il meteorite che (forse) decretò la fine del regno dei Dinosauri produsse nella penisola dello Yucatan un cratere (ancor oggi visibile nelle immagini satellitari) di ben 180 km di diametro!
Gli sciami di meteoriti si originano da residui di corpi celesti (asteroidi, comete…) che ruotano attorno al Sole; quando la loro orbita incrocia quella terrestre alcuni di essi vengono catturati dal campo gravitazionale del nostro pianeta. Ma esistono anche masse rocciose solitarie sfuggite all’orbita di altri pianeti o in cammino nel cosmo da tempi lunghissimi oppure comete provenienti dalle più remote regioni del Sistema Solare, che incontrano casualmente la Terra durante il loro viaggio. Uno di essi, prima o poi, avrà dimensioni tali da provocare una catastrofe a livello planetario. Quando? Non ci è dato saperlo: domani, pochi anni o migliaia di secoli. In ogni caso è solo questione di tempo…

QUALCHE CONCETTO DI BASE NON FA MAI MALE…
Ammirando la grandiosità del cielo stellato, potremmo pensare che l’osservazione e lo studio del cosmo sia un’attività riservata a eminenti astronomi, dotati di strumenti e attrezzature iperprofessionali. Se questo è vero per le profondità dell’universo, non lo è altrettanto per un’analisi, sommaria ma comunque di estremo interesse, di ciò che possiamo vedere dalla Terra.
Se questa semplice considerazione non fosse vera, gli astronomi dell’antichità non avrebbero potuto studiare moti e particolarità dei corpi celesti a noi vicini e le loro interazioni che essi hanno con la nostra vita, il tutto solo con l’ausilio dei loro occhi!
E allora mettiamoci anche noi a osservare uno dei più evidenti e interessanti fenomeni notturni: l’apparente rotazione della volta celeste nel senso opposto a quello della rotazione terrestre. Essa è imperniata sull’asse celeste, che è il prolungamento dell’asse della Terra verso la Stella Polare. Rintracciare quest’ultima è semplice: basta individuare il lato opposto alla “coda” del quadrilatero dell’Orsa Maggiore e prolungarlo di circa 5 volte, fino a incontrare la Stella Polare in prossimità del polo nord celeste. La rotazione delle “stelle fisse” (che tanto fisse poi non sono…) disegna dunque nel cielo notturno delle traiettorie circolari, da est verso ovest, che risultano essere parallele tra loro e concentriche rispetto ai poli celesti.
Meglio ripetere a sé stessi ogni tanto questi semplici concetti, non si sa mai che possano servire a evitare qualche figuraccia…

PIANETI E PIANETI NANI
Leggo e riporto da Wikipedia che il Comitato esecutivo dell’Unione Astronomica Internazionale ha finalmente trovato un accordo dopo la diatriba sorta nel 2006 per l’introduzione del termine “pianeta nano”, che identifica corpi con una massa e quindi una gravità sufficiente a conferire loro una forma grossolanamente sferica, ma che non sono riusciti a fare “piazza pulita” dei planetesimi posti lungo la loro orbita.
D’ora in poi i pianeti nani trans-nettuniani si chiameranno “plutoidi”. L’UAI ha stabilito che un corpo celeste transnettuniano che possiede un semiasse dell’orbita maggiore più lungo di quello di Nettuno e una magnitudine assoluta inferiore a +1 (si legge: più brillante di +1, in quanto a valori piccoli corrisponde maggiore luminosità!) può essere ragionevolmente classificato tra i plutoidi e quindi tra i pianeti nani.
L’IAU riconosce per ora cinque pianeti nani: Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris. Sedna è in attesa di entrare, a meno che ulteriori verifiche non cambino le carte in tavola, in questa categoria.

QUANTE STELLE MANCATE!
Si sente spesso affermare che Giove è una stella mancata. L’affermazione, di per sé, non è errata: vi fu un periodo, durante la formazione del Sole e della sua coorte di pianeti, in cui il pianeta più grande del sistema solare riuscì a catturare, anche in virtù del suo nucleo roccioso 15 volte più massiccio delle Terra, una gran quantità di gas e pulviscolo.
Poi, però, nel sole si accese la fornace nucleare e il suo “soffio” spazzò via quanto rimaneva nella nebulosa primordiale, “tagliando i viveri” a Giove. Mancava comunque molto prima che esso potesse raggiungere lo status di stella, ovvero di un corpo in grado di emettere luce e calore propri. Solo per raggiungere il grado di nana bruna, che è, per così dire, una “brutta copia” di una stella, Giove sarebbe dovuto crescere di almeno altre 15 volte.
Le nane brune emettono modeste quantità di luce per circa un centinaio di milioni di anni in parte per la lenta contrazione, e dunque per la trasformazione di energia gravitazionale in calore, in parte per le reazioni di fusione di deuterio e litio che si innescano nel nucleo.
Per raggiungere lo status di stella ordinaria serve invece una massa di circa 80 volte quella gioviana. Anche Giove, per la verità, è un corpo caldo: esso emette infatti quasi il doppio del calore che riceve dal Sole, ma tale energia deriva dall’iniziale processo di contrazione, che si protrae ancor oggi alla “fantastica” velocità di un centimetro l’anno, e non è sufficiente per innescare reazioni termonucleari: si stima che nel nucleo di Giove si raggiungano temperature di circa 17 mila gradi.
Fin qui, si potrebbe dire, nulla di sensazionale; ma, allargando il discorso e ricorrendo forse un po’ troppo alla fantasia, si può pensare che anche Saturno, Urano e Nettuno, altri “giganti gassosi” del nostro cielo, avrebbero potuto acquisire una massa sufficiente per diventare stelle… si pensi dunque cosa ci siamo persi: un sistema stellare multiplo! Che fine avrebbe fatto in questo caso la nostra Terra? Sarebbe potuta esistere? Ma soprattutto: la vita si sarebbe sviluppata comunque?

VOYAGER, DOVE SEI?
Un terribile dubbio mi ha assalito all’improvviso: dove sarà arrivato Voyager 1? In quale regione del nostro Sistema solare si trova la piccola sonda lanciata nel 1977 verso le profondità del cosmo?
Internet ha, come sempre, soddisfatto al volo la mia curiosità. Voyager, a fine novembre 2009, è ormai ampiamente al di fuori del sistema solare, a oltre 16 miliardi di chilometri dalla Terra, e continua ad allontanarsene a una velocità di circa 17 km/sec, circa 550 milioni di chilometri l’anno.
Plutone, tanto per fornire un raffronto, raggiunge in afelio i 7,3 miliardi di km; Eris, il più massiccio dei corpi ruotanti attorno al Sole oltre l’orbita di Nettuno, sfiora i 15 miliardi.
Voyager 1 si trova dunque nei pressi dell’eliopausa, una sorta di confine estremo oltre il quale gli effetti del Sole (luce, campo magnetico, vento solare) sono praticamente azzerati.
La piccola, intrepida sonda viaggerà ora per decine di migliaia di anni nel buio più assoluto, senza incontrare nulla sul proprio cammino… una prospettiva davvero angosciante!
Aggiornamento: da Wikipedia apprendo che il 6 marzo 2014 la Voyager 1 si trovava nello spazio interstellare a una distanza di 127,127 UA (unità astronomiche, corrispondenti a 19,018 miliardi di km) dal Sole. La sonda si sta allontanando dal sistema solare a una velocità di 17,031 km/s, in leggerissimo rallentamento a causa dell’attrazione gravitazionale del Sole.
Aggiornamento del 9 marzo 2019: la sonda si trovava ad una distanza di 145,020 UA, equivalenti a 21,695 miliardi di km dal Sole.
Aggiornamento del 18 novembre 2020: Voyager 1 ha superato le 151 unità astronomiche dal Sole, ovvero oltre 22,663 miliardi di km.
Dati tratti dal sito ufficiale delle missioni Voyager ‬

UN LINK DA FAVOLA
A questo link è possibile accedere a una raccolta di fantastiche fotografie scattate con gli strumenti dell’ESO (European Southern Observatory), la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l’osservatorio astronomico piu’ produttivo al mondo. L’ESO gestisce, oltre al Centro di Santiago, tre siti unici di osservazione astronomica in Cile. Qui l’ESO gestisce diversi telescopi ottici di media grandezza, fra cui il cacciatore di esopianeti leggeri di maggior successo. Il Very Large Telescope (VLT), l’osservatorio astronomico nella banda visibile piu’ d’avanguardia al mondo, si trova sul monte Paranal, a 2600 m, sul quale si trovano anche l’interferometro (strumento per lo studio delle onde elettromagnetiche) VLT e due telescopi per survey (destinati a particolari studi e indagini), VST e VISTA. Il terzo sito è il Llano de Chajnantor, alto 5000 m, vicino a San Pedro di Atacama. L’ESO sta progettando altri strumenti, tra cui il telescopio European Extremely Large optical/near-infrared Telescope (E-ELT). L’E-ELT avrà un diametro di 42 metri e osserverà nell’ottico e vicino infrarosso diventando il più grande occhio del mondo rivolto al cielo. La sua entrata in funzione è prevista a breve (ultimo aggiornamento: marzo 2019).

STRANE IMPLICAZIONI DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE
Prendo spunto da uno dei più bei libri mai letti, “Al di là della luna” di Paolo Maffei (un po’ datato ormai), per descrivere alcune strane ma decisamente affascinanti implicazioni della velocità della luce. Per farlo dobbiamo fantasticare un po’ e supporre di poterci spostare senza problemi da un punto all’altro della Via Lattea semplicemente con la forza del pensiero; altra concessione alla fantasia è quella di disporre di un telescopio infinitamente potente, in grado di intercettare e ingrandire a dismisura le immagini provenienti dalle più remote regioni del cosmo.
Con questi presupposti spostiamoci su uno dei tanti pianeti extrasolari; si tratta di “GJ 1214 b”, scoperto nel 2009, che orbita attorno alla stella GJ 1214 (una nana rossa) a una distanza di 13 parsec (circa 42 anni luce) dalla Terra, nella costellazione dell’Ofiuco.
Puntiamo il telescopio verso la Terra, e con lo zoom ultrapotente in dotazione inquadriamo la nostra bella Italia. Aumentiamo ancora il dettaglio, troviamo la nostra città e infine la nostra casa. Qui iniziano le stranezze: riconosciamo solo a fatica i luoghi lasciati poco prima. Aumentiamo ancora un po’ l’ingrandimento per distinguere le sagome dei nostri genitori che stanno uscendo di casa, e qui la sorpresa è grande: sono giovanissimi! Entrano in un’auto che non conosciamo, un modello di molti decenni fa, e imboccano una via che noi ricordavamo ben diversa. Visto che possiamo tutto, diamo una sbirciata ai giornali esposto in edicola: troviamo titoli riguardanti avvenimenti ormai lontani nel tempo… ma che succede?
Tutto dipende dalla velocità della luce! Essa viaggia a poco meno di 300 mila km/sec e quindi anche l’immagine di noi stessi, della nostra casa, della Terra si disperdono verso lo spazio a quella velocità. Tutto è chiaro: su GJ 1214 b, distante 42 anni luce dalla Terra, stanno giungendo le immagini dalla Terra “vecchie” di 42 anni!
Incredibile a dirsi: esistono luoghi nell’universo in cui il nostro passato è realtà adesso!
Ma non è finita: dato che possiamo spostarci a piacimento nello spazio, iniziamo ad avvicinarci al nostro pianeta a una velocità sostenuta, andando letteralmente incontro alla luce che sta giungendo dalla Terra. Ne scaturirà un inaspettato viaggio nel tempo, grazie al quale potremo assistere allo svolgimento della nostra vita in una sorta di filmato accelerato!
A questo punto si aprono orizzonti ai quali solo la nostra fantasia può porre un limite: a seconda della distanza del corpo celeste sul quale decidessimo di materializzarci, potremmo assistere alle ultime fasi del regno dei Dinosauri oppure risolvere l’enigma dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy oppure… a voi la scelta!

PERCHÉ I PIANETI RUOTANO ATTORNO AL PROPRIO ASSE?
Domanda apparentemente banale, ma che a un’analisi più attenta rivela più di un’insidia. La spiegazione più “gettonata” prende forma dall’origine stessa dei pianeti, nati dalla contrazione di una nube di gas e polvere al cui interno la materia si muoveva in modo caotico; risulterebbe assai strano, quindi, se i corpi da essa generatisi possedessero un momento angolare nullo.
Da notare che esistono pianeti, come per esempio Venere e Urano, che ruotano su se stessi in senso orario; essi possiedono quindi una rotazione retrograda, inversa a quella “normale”. Una delle ipotesi per spiegare questa particolarità si basa su impatti con enormi meteoriti avvenuti in passato. In seguito a uno di questi Venere avrebbe mantenuto pressoché inalterato il suo asse, invertendo però il senso di rotazione. Urano, invece, colpito lateralmente, si sarebbe ribaltato per poco più di 90 gradi, iniziando a “rotolare” lungo la sua orbita intorno al Sole.
Conseguenza della rotazione della Terra su se stessa in senso diretto (o progrado o antiorario guardando il pianeta visto sopra il suo polo Nord), è che i corpi celesti, Sole e Luna compresi, si muovono sulla volta celeste da est a ovest. Ci sono però delle eccezioni: molti satelliti artificiali si muovono in senso contrario, da ovest verso est, pur ruotando in senso antiorario intorno alla Terra proprio come la Luna. Il motivo è dovuto al fatto che essi viaggiano molto velocemente. La Stazione Spaziale Internazionale, ad esempio, compie un giro intorno alla Terra in circa 91 minuti, viaggiando dunque molto più velocemente di quanto il nostro pianeta ruoti intorno a sé stesso. La Luna, invece, compie un giro intorno alla Terra in circa 29 giorni, procedendo molto più lentamente di quanto impieghi la Terra a ruotare su sé stessa.
Ecco spiegato il motivo per cui il nostro satellite naturale si muova da est verso ovest mentre la Stazione Spaziale Internazionale si muova da ovest verso est, pur avendo entrambi un moto di rivoluzione antiorario.
Collegato al fenomeno della diversa velocità di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole è la retrogradazione, o moto retrogrado apparente; è un intervallo di tempo durante il quale i pianeti esterni all’orbita terrestre (Marte, Giove ecc) sembrano invertire il proprio senso di marcia, passando da un moto diretto (da ovest verso est) a una fase di retrogradazione (da est verso ovest). Questo perché la Terra completa la sua orbita in un tempo più breve di quanto facciano i pianeti esterni e “raggiunge” il pianeta esterno come farebbe un’automobile più veloce su una strada a più corsie. Si tratta, ovviamente, di condizioni apparenti dovute al movimento relativo tra la Terra e gli altri pianeti.

LA STELLA CHE DIVORA I SUOI FIGLI!
Grazie al telescopio spaziale Hubble siamo venuti a conoscenza di un altro affascinante (e spaventoso) processo in corso in uno dei tanti sistemi solari della nostra galassia, a circa 600 anni luce dalla Terra. Ne dà notizia il team leader Carole Haswell di The Open University Gran Bretagna nel “the Astrophysical Journal Letters”, edizione del 10 maggio 2010.
Un pianeta, più massiccio di Giove, sta lentamente ma inesorabilmente precipitando sulla propria stella madre. A ogni rivoluzione, che dura poco più di un giorno (su quell’infelice corpo celeste la durata di un anno si riduce quindi a poco più delle nostre 24 ore!) il cerchio si stringe sempre più e in poche migliaia di anni esso verrà completamente annientato dalle forze mareali, forse ancor prima di cozzare contro la superficie della nana gialla: una vera e propria danza della morte.
Attualmente il pianeta è già abbastanza vicino da essere stirato dalle forze gravitazionali: è stato rilevato che la massa atmosferica è deformata e riscaldata dalle maree gravitazionali e una parte di essa viene già risucchiata dalla stella.
Fino a ora questo scambio di materia era stato osservato solamente in sistemi stellari binari molto stretti, mai tra un pianeta e una stella.

BETELGEUSE, CHE RIVELAZIONE!

Fonte immagine: eso.org

Non c’è che dire, viviamo in un sistema solare proprio tranquillo, direi quasi noioso… ma se così non fosse, probabilmente sulla Terra non ci sarebbe vita ;-) Per rendercene conto basta guardare ciò che succede nel sistema di Betelgeuse, la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione (dopo Rigel) e, mediamente, la decima più brillante del cielo notturno (magnitudine apparente 0,58). Betelgeuse è una supergigante rossa di classe spettrale M, una stella in una fase già piuttosto avanzata della sua evoluzione, e mostra pulsazioni quasi regolari con un periodo che si aggira sui 2300 giorni. La sua distanza dalla Terra è di circa 600 anni luce. Si tratta di una stella di dimensioni colossali, una tra le più grandi conosciute: il suo raggio è stimato in 4,6 unità astronomiche (690 milioni di chilometri!), più di 1000 volte il raggio solare, e la sua luminosità oltre 135.000 volte quella della nostra stella. Possedendo una massa di 15-20 volte superiore a quella del Sole, è probabile che la stella concluderà la sua esistenza dando vita a una supernova.
Ebbene, tutte queste informazioni impallidiscono dinnanzi a questa rappresentazione artistica di Betelgeuse, creata sulla base delle più recenti osservazioni del VLC (Very Large Telescope) di proprietà dell’ESO (European Southern Observatory). L’astro assomiglierebbe gran poco al nostro sole; si tratterebbe piuttosto di un enorme ammasso di bolle pulsanti e incandescenti; forse proprio per questo la sua luminosità varia molto osservandolo dalla Terra. Un enorme pennacchio di gas, grande più o meno come il nostro sistema solare, accompagna la stella. Impressionante, davvero.
Chissà se, prima o poi, qualcuno a bordo di un’astronave potrà assistere dal vivo a tale spettacolo e verificare se l’aspetto è davvero così terrificante… o magari di più!

SPLENDERÀ UN SECONDO SOLE?
La nostra galassia, la Via Lattea, è una vera e propria città di stelle. Ve ne sono circa 200 miliardi di ogni colore e dimensione, ma anche delle più svariate età. E la stragrande maggioranza di quelle più “anziane”, dopo una vita che può essere durata milioni o miliardi di anni (vedi la pagina delle stelle), sono destinate a un’uscita di scena piuttosto movimentata.
A proposito di stelle che si trovano in una fase avanzata del loro processo evolutivo, è il caso di tornare sulla supergigante rossa (classe M) Betelgeuse, la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione, dopo Rigel, e, mediamente, la decima più brillante del cielo notturno. Questo astro negli ultimi tempi ha fatto molto parlare di sé, in quanto sembra assodato che in futuro (domani, o forse un milione di anni!) essa sia destinata a esplodere dando origine a una supernova di tipo II, raggiungendo una luminosità assoluta pari a circa un miliardo di volte il nostro sole; ma ciò che più ha infiammato la fantasia degli appassionati è che essa sarà visibile nel cielo terrestre anche durante il dì.
La distanza dalla Terra, oltre 600 anni luce, ci mette relativamente al sicuro dall’enorme quantità di radiazioni ionizzanti che verranno emesse, ma è certo che lo spettacolo offerto ai fortunati che potranno goderne sarà indimenticabile. Per alcuni mesi un nuovo astro splenderà nel cielo terrestre con una magnitudine apparente che potrebbe raggiungere il valore di -12, simile a quello della Luna piena!
La cosa più curiosa è che la trasformazione in supernova e il successivo decadimento in stella di neutroni o buco nero di Betelgeuse potrebbe essere già avvenuta… il fatto di trovarci a una distanza di 600 anni luce implica un ritardo di 600 anni nel recepimento di qualunque avvenimento si verifichi sulla stella!
Non va dimenticato, comunque, che Betelgeuse è semplicemente una delle tante candidate ad assumere il ruolo di supernova nel cielo terrestre. Molte altre stelle, alcune ben più vicine, illumineranno il futuro del nostro pianeta, così come già accaduto più volte in passato (si ricordi per esempio l’evento registrato dagli astronomi cinesi nel 1054 con l’esplosione della supernova del Granchio, che ha dato origine all’omonima nebulosa visibile ai nostri giorni). Basti pensare che nella Via Lattea avviene un’esplosione di supernova più o meno ogni 50 anni.
Già che c’ero ho approfondito le ricerche, scoprendo aspetti decisamente interessanti: Betelgeuse è una stella di dimensioni colossali, addirittura una tra le più grandi conosciute: il suo raggio misurerebbe in media 4,6 unità astronomiche, pari a circa 1000 volte il raggio solare. Se la stella si trovasse al posto del Sole, la sua superficie si addentrerebbe nella fascia principale degli asteroidi, arrivando a inglobare l’orbita di Giove, pur con un gas molto rarefatto: la densità della stella nel suo complesso risulta estremamente bassa perché, sebbene il volume dell’astro sia oltre 160 milioni di volte il volume del Sole, il rapporto massa-volume dà una densità media inferiore al vuoto più spinto realizzabile sulla Terra, 0,00000139 kg/m3!
Data la grande superficie radiante, Betelgeuse possiede anche una forte luminosità, oltre 135.000 volte quella del Sole, che la rende anche una tra le stelle più luminose in assoluto. Tuttavia, una simile brillantezza non è imputabile esclusivamente alla vasta superficie; per questa ragione gli astronomi ritengono che la stella possieda una massa elevata, pari a circa 20 volte quella della nostra stella.
Betelgeuse è una stella dell’emisfero boreale e si può distinguere anche dalle grandi città: come detto, essa è la decima stella più brillante del cielo. La si scorge bassa sull’orizzonte orientale nelle serate tardo-autunnali, ma è durante i mesi di gennaio e febbraio che l’astro domina il cielo notturno, essendo la stella di colore rosso vivo più brillante dell’inverno. Il mese di maggio invece la vede tramontare definitivamente sotto l’orizzonte ovest, tra le luci del crepuscolo; torna a essere visibile a est, poco prima dell’alba, nel mese di agosto. Si tratta una stella variabile che mostra marcate variazioni di luminosità in intervalli di tempo relativamente brevi, con variazioni di magnitudine quasi regolari con un periodo che si aggira sui 2300 giorni. Curioso il fatto che nel primo secolo un osservatore cinese ne parlasse come di un astro dal colore bianco-giallastro e che, circa un secolo dopo, il grande astronomo greco Claudio Tolomeo nel suo Almagesto la descrivesse invece come una stella tipicamente rossa… dobbiamo supporre che in quell’intervallo di tempo un evento abbia prodotto dei cambiamenti sostanziali sulla stella?
Ultimo appunto: pur trovandosi nello stadio finale della propria vita, Betelgeuse è nata “solamente” pochi milioni di anni fa. Trattandosi di una stella di grande massa, infatti, essa ha consumato velocemente il proprio combustibile nucleare. Il Sole, invece, brilla da alcuni miliardi di anni e ne passeranno altrettanti prima di vederlo uscire dalla Sequenza Principale, il famoso diagramma che raggruppa e categorizza tutti i tipi di stelle.

STELLE FILANTI
Agli astrofili più smaliziati potrà far sorridere, ma la pioggia di meteore (le Draconidi o Giacobinidi) di sabato 8 ottobre 2011 rimarrà per sempre nella mia memoria come un ricordo fantastico. Se lo guardiamo su di una scala assoluta si è trattato di un evento tutto sommato nella media, senza (almeno dal mio punto di osservazione) nemmeno un bolide, ma che ha rappresentato per me una delle poche occasioni in cui vivere la mia passione per l’astronomia in prima persona, senza il filtro di libri, riviste e siti web.
Un enorme grazie alla cometa Giacobini-Ziner, una vagabonda del cielo (nemmeno troppo a dire la verità, dato che fa la spola tra Giove e la Terra) che ha incrociato l’orbita terrestre lasciando dietro di sé una nube di detriti, alcuni dei quali sono poi stati catturati dal campo gravitazionale terrestre e accesi durante l’ingresso nell’atmosfera. Trovarsi a tu per tu con il cielo stellato, solcato per “ben” tredici volte da queste piccole e fugaci stelle cadenti nel buio e nel silenzio della notte, è stata un’emozione che mi ha fatto tornare bambino e che non dimenticherò.

TANTE NUOVE TERRE
La Nasa ha confermato la scoperta di un altro pianeta simile alla Terra, Keplero-22b, distante 600 anni luce e grande oltre il doppio del nostro pianeta.
Non è il primo, e non sarà certo l’ultimo, e anche in questo caso sono partite le disquisizioni sui possibili abitanti di questo corpo celeste, ancor più vivaci del solito in quanto Keplero-22b sembrerebbe avere tutte le carte in regola per ospitare forme di vita che non siano solo virus o batteri: la distanza dalla stella attorno a cui orbita, infatti, è tale da garantire la presenza di acqua allo stato liquido. Si pensa inoltre che la temperatura media si attesti sui 22 gradi.
Vero o no, quello che spesso si dimentica è che le eventuali forme di vita extraterrestre potrebbero essersi sviluppate su pianeti che presentano condizioni ambientali diverse da quelle a cui siamo abituati. Gli eventuali alieni potrebbero quindi non avere sembianze per niente umane…
Menti fantasiose sono arrivate a proporre l’esistenza di forme di vita basate per esempio sul silicio invece che sul carbonio, ben diverse dall’idea classica di umanoide che certa fantascienza ci propina da sempre. Anche su queste basi è nata l’esobiologia, una branca della biologia che indaga sui possibili esseri viventi extraterrestri.
Ciò che ci aspetta in futuro non è al momento prevedibile; ma questa ricerca maniacale del “pianeta gemello” potrebbe far perdere di vista il vero fascino del cosmo, che risiede proprio nella sua estrema varietà di forme.

MARTE, IL PIANETA DEI VULCANI
Reduce dalle fatiche (letterarie) per la stesura di una immaginaria cronaca alla conquista del Monte Olimpo (link) mi sono imbattuto in un articolo su una rivista del settore che parla di un vulcano marziano, Tharsis Tholus. Colpisce il fatto che sulla Terra esso avrebbe dimensioni di tutto rispetto, ma su Marte è semplicemente… uno dei tanti! Ebbene sì, con i suoi 155X125 km e un’altezza di 8000 metri, Tharsis Tholus non può competere con il Monte Olimpo, che poggia su una piattaforma di 600 km di diametro e tocca i 25 mila metri di quota, e con altre strutture vulcaniche della regione Tharsis (a cui anche Tholus appartiene) come Ascraeus Mons, Pavonis Mons e Arsia Mons, tutte vette tra i 14 e i 19 km di altezza.
Ciò che rende interessante questa montagna è il suo aspetto decisamente tormentato, frutto di 4 miliardi di anni di “ingiurie” dovute alla caduta di meteoriti di ogni dimensione e al parziale collasso della struttura, che ha dato vita a fratture e scarpate alte migliaia di metri. Anche il cratere centrale, dopo uno sprofondamento di quasi 3 km, si è trasformato in una gigantesca caldera di 32X34 km dal contorno semicircolare.
Scenari che per ora possiamo solamente immaginare, ma di cui le prossime generazioni potranno godere grazie ai progressi astronautici. Che invidia!

CHE MONTAGNE SU VESTA!
Sempre a proposito di grandi strutture montuose al di fuori del pianeta Terra, particolare scalpore ha destato la notizia che su Vesta, il secondo asteroide in ordine di grandezza della Fascia principale (530 km di diametro, Cerere è il più grande con 950) è stata osservata una montagna di 22 mila metri di altitudine! Si tratta di una situazione ben diversa da quella del nostro pianeta, la cui rugosità superficiale è paragonabile a quella di un’arancia!

STELLE MULTIPLE NEL CIELO INVERNALE
Sempre più affascinato dall’osservazione del cielo, ho voluto approfondire l’argomento per alcune delle stelle più note e facilmente riconoscibili nel cielo invernale. È curioso constatare come molte di esse non sono stelle “solitarie”, ma si accompagnano a uno o più astri, talvolta molto diversi per colore e dimensione.
È il caso, per esempio, di Sirio (Alfa Canis Majoris), la stella più brillante del nostro cielo, una gemma blu-bianca la cui compagna, la nana bianca Sirio B, è visibile solo con un potente telescopio. Ma anche la supergigante bianco-blu Rigel (Beta Orionis) non è sola: vicino a essa, con la strumentazione adeguata, si nota un altro corpo bluastro. Sempre nella costellazione di Orione troviamo Sigma Orionis, che all’osservazione telescopica si risolve in un gruppo di astri di vari colori, dal rosso all’arancione, dal giallo al cenerino, dal grigio al biancastro.
Si potrebbe continuare a lungo. Tutta roba da palati (o meglio, occhi) fini ;-)

AL DI LÀ DI NETTUNO
L’approfondimento che segue servirà soprattutto a me stesso: mi sono reso conto, infatti, di essere ancorato a una visione del Sistema Solare ormai superata. La mia passione per l’astronomia nasce infatti verso la fine degli anni 70, quando l’elenco dei pianeti era scarno e preciso: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone… fin troppo facile da imparare. Le mirabolanti scoperte degli ultimi anni nelle profondità del cosmo hanno distratto la mia attenzione (e, credo, non solamente la mia) da una serie di novità negli immediati dintorni (è proprio il caso di dirlo!) della Terra.
È soprattutto al di là di Nettuno, in una zona del Sistema Solare chiamata, non a caso, “transnettuniana” che vale la pena di porre l’attenzione. Dove un tempo Plutone dominava incontrastato, confortato nel suo isolamento solo dal satellite Caronte, oggi si aggirano una miriade di corpi celesti, piccoli o piccolissimi, composti principalmente da roccia e ghiaccio.
Lo stesso Plutone è stato degradato al rango di “pianeta nano”, perdendo la dignità di nono pianeta del Sistema Solare e divenendo semplicemente la più grande tra le presenze (circa 100.000 oggetti) che gravitano nella cosiddetta “fascia di Kuiper” tra 30 e 50 UA dal Sole, ovvero 4,5 e 7,5 miliardi di chilometri (“UA” significa “unità astronomica” e corrisponde a 150 milioni di chilometri). A Plutone (39,4 UA, quasi 6 miliardi di km) si accompagnano i “plutini”, ovvero tutti quei corpi della fascia di Kuiper che risentono della marea gravitazione indotta da Nettuno, l’ultimo vero pianeta del Sistema Solare, posto a quasi 4,5 miliardi di km dal Sole.
Come detto, nel corso degli ultimi anni una gran folla di corpi di ogni dimensione si è aggiunta a Plutone: da ricordare Haumea (distante dal Sole 43,34 UA, ovvero 6,5 miliardi di km) e Makemake (45,79 UA, quasi 7 miliardi di km). Il primo ruota tanto velocemente attorno al proprio asse da avere la forma di un uovo; entrambi hanno un diametro di circa 1500 km (3/4 di quello di Plutone) e a differenza di quest’ultimo non sono influenzati da Nettuno nella loro rivoluzione attorno al Sole.
Altra zona remota del Sistema Solare è il “disco diffuso”, che alcuni astronomi considerano semplicemente un’estensione della fascia di Kuiper. Essa è popolata tra l’altro dalle comete di breve periodo e da altri corpi la cui orbita irregolare è stata probabilmente indotta dall’influenza gravitazionale di Nettuno. Molti degli oggetti del disco diffuso hanno il perielio nella fascia di Kuiper, ma il loro afelio può trovarsi anche a 150 UA dal Sole; le loro orbite sono molto inclinate rispetto al piano dell’eclittica, spesso addirittura quasi perpendicolari a esso.
Spingendoci ancora più lontano dal Sole, pur rimanendo nel disco diffuso, troviamo Eris (68 UA, oltre 10 miliardi di km); essendo il 5% più grande di Plutone potrebbe un giorno entrare a far parte della famiglia dei pianeti del Sistema Solare… ma questo, eventualmente, lo deciderà l’Unione Astronomica Internazionale.
A questo punto, proseguendo nel nostro immaginario viaggio, potremo attraversare il primo di due distinti confini del Sistema Solare: l’eliopausa, definito dalla massima distanza raggiunta dal vento solare, un flusso di particelle cariche che si estende dalla corona solare verso l’esterno a 400 km/s, e che ammonta a circa 20 miliardi di chilometri.
Ma l’influenza gravitazionale non si ferma qui: a ben 525,86 UA, quasi 80 miliardi di km, ecco Sedna, grande più o meno come Plutone, la cui orbita è estremamente ellittica, con un perielio a circa 76 UA e un afelio a 928 UA dal Sole. Da notare che una rivoluzione completa di Sedna richiede ben dodicimila anni!
Tra circa 50.000 UA (1 anno luce) e 100 000 UA (1,8 anni luce) si estende la “nube di Oort”, una distesa di ghiaccio e comete che ruotano lentamente attorno al Sole e che talvolta, a causa di interazioni gravitazionali, possono dirigersi verso il centro del Sistema Solare. È possibile che alcuni di questi corpi, venendo a collisione con la Terra, abbiano causato almeno una parte delle grandi estinzioni che a intervalli più o meno regolari colpiscono la vita terrestre.
Altri corpi, più o meno grandi, stanno emergendo dalle profondità del Sistema Solare a mano a mano che l’osservazione astronomica progredisce; quanto esteso sia questo spazio lo si può intuire considerando che il secondo limite è posto in corrispondenza della superficie della “sfera di Hill”, laddove termina, almeno virtualmente, l’influenza gravitazionale del Sole, a circa due anni luce dalla Terra, circa mille volte più distante dell’eliopausa.
Non serve essere uno scienziato per capire che il lavoro per la mappatura dell’intero Sistema Solare durerà ancora a lungo…

QUANTO È PICCOLO IL SOLE!
In vista di una serata che terrò prossimamente sull’astronomia, ma anche per curiosità, ho preparato due immagini che riportano in proporzione le dimensioni del Sole, prima rispetto ai pianeti del Sistema Solare (e qui la nostra stella appare come un gigante) e poi rispetto ad altri astri che siamo soliti osservare in cielo. Ebbene, nella seconda immagine per poter indicare in qualche modo il Sole ho dovuto esagerare! In realtà esso dovrebbe risultare praticamente invisibile: incredibile, ma vero!

Il Sole e i pianeti del Sistema Solare

Il Sole sparisce di fronte ai giganti della Galassia (viene indicato il diametro in milioni di km)

FREDDO E VUOTO, ECCO IL COSMO!
Se alziamo lo sguardo in una serata limpida, lontano da fonti di inquinamento luminoso, ci accorgiamo di quanto è grande il numero di stelle più o meno brillanti presenti nel cielo. Un paio di migliaia, che possono diventare anche tremila se saliamo in cima a una montagna (dove l’aria è molto tersa), con la Luna in fase nuova. Il conteggio diventa strabiliante se ci dotiamo di un buon telescopio o se, ancor meglio, osserviamo le immagini provenienti dai potentissimi strumenti in orbita attorno alla Terra. Tutto ciò ci può indurre a pensare che il cosmo sia un luogo in cui predominano la luce e i colori: mai conclusione sarebbe più sbagliata! Questo perché la volta celeste che ammiriamo dalla Terra non è un semplice soffitto, come quello sul quale vediamo proiettate le stelle quando visitiamo un planetario. Quelle luci, che siamo portati a ritenere tutte equidistanti dalla Terra, si trovano in realtà a distanze molto diverse. Sirio, per fare un esempio, brilla a “soli” 8,6 anni luce da noi; Rigel, che sembra trovarsi nelle sue vicinanze, dista invece ben 770 anni luce!
Ci potremmo allora chiedere: che cosa c’è tra questi corpi celesti?
Per rispondere alla domanda supponiamo di disporre di una navicella in grado di portarci velocemente fuori dal nostro Sistema solare. Ci accorgeremmo presto, una volta lasciato alle spalle il Sole, che per raggiungere la stella più vicina dovremmo coprire distanze enormi. Con sgomento ci troveremmo immersi in un buio quasi assoluto, confortato solo dalle piccole luci che punteggiano lo sfondo, più o meno le stesse che vedevamo dalla Terra. Il passaggio di qualche gelido corpo alla deriva non sarebbe certo sufficiente a mitigare la solitudine.
Buio, vuoto e freddo: ecco, così è gran parte dell’universo… non per niente la sua densità media è stata calcolata in qualche atomo per metro cubo e la temperatura di poco superiore allo zero assoluto!
Intendiamoci: non è così ovunque! Ci sono angoli del cosmo in cui lo spettacolo a disposizione degli ipotetici abitanti è a dir poco fantasmagorico. Pensiamo per esempio a un pianeta posto sul bordo esterno di un ammasso di stelle come M13, l’ammasso globulare di Ercole. Lì troveremmo un cielo notturno tappezzato da migliaia di soli di diversi colori, molti di essi brillanti come la Luna piena: uno scenario che fatichiamo anche solo a immaginare!
Torniamo al vuoto che circonda la nostra navicella. Per quanto potente, essa non potrebbe superare la velocità della luce; servirebbero dunque oltre quattro anni per raggiungere Proxima Centauri, la stella più vicina. Avremmo comunque di che consolarci: con le navicelle costruite dall’uomo del Duemila il viaggio sarebbe risultato ventimila volte più lungo e noioso! Quattro anni, quindi, in compagnia del nulla, o quasi… e molti di più ne servirebbero per raggiungere le altre stelle nei dintorni. Le cose si farebbero ancora più drammatiche una volta usciti dalla nostra galassia, evento per il quale dovremmo pazientare diversi secoli. Volgendo le spalle alla Via Lattea trascorrerebbero due milioni di anni prima di ritrovarci immersi tra le stelle della galassia di Andromeda!
Una doverosa annotazione: il vuoto dell’universo non è proprio del tutto… vuoto, ma contiene a densità bassissime plasma di idrogeno ed elio, radiazione elettromagnetica, campi magnetici e neutrini, oltre a (presumibilmente) materia ed energia oscura. La sostanza, per noi umani, cambierebbe poco: un viaggio nel cosmo prevedrebbe lunghi periodi di noia mortale!

Il cosmo non è (purtroppo) tutto così

IL COLORE DEL SOLE
La classica domanda da un milione di dollari: ma il Sole è bianco, giallo o magari di altri colori? Risposta: il Sole è bianco, ma non sarebbe sbagliato nemmeno affermare che il Sole è giallo o… verde: è semplicemente una questione di punti di vista!
Possiamo dire che il Sole è bianco partendo dalla considerazione che esso emette una vasta gamma di radiazioni elettromagnetiche, dalle onde radio ai raggi gamma. In questo ampio spettro (figura seguente) troviamo anche l’intervallo della luce visibile per il nostro occhio, che va dal rosso al violetto; ogni colore corrisponde a una specifica frequenza (numero di oscillazioni dell’onda elettromagnetica per secondo).

Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche presenti in natura. La parte visibile, allargata ed evidenziata in alto, ne occupa solo un breve intervallo.

Ebbene, la somma di tutte le frequenze del visibile dà origine ad una luce di colore grossolanamente bianco. Non proprio un bianco puro, ma qualcosa di molto simile al riempimento (codice esadecimale #fff5f2) di questo rettangolo: Che la luce solare fosse costituita da raggi di vario colore era stato dimostrato già nel 1676 da Newton, che utilizzò un prisma triangolare per dare origine al fenomeno ottico della rifrazione; con le stesse modalità si forma l’arcobaleno, con i vari elementi cromatici che in questo caso vengono separati dalle gocce di pioggia.
OK, la luce del Sole è bianca, ma perché allora in precedenza ho chiamato in causa i colori giallo e verde? Ebbene, il giallo si vede solo dalla superficie terrestre! L’effetto dell’atmosfera sui raggi solari, infatti, è quello di diffondere ovvero disperdere (fenomeno detto “scattering di Rayleigh”) le frequenze più alte della luce visibile (blu e violetto) molto più di quelle lunghe (soprattutto il rosso). Ecco quindi che la componente rossa giunge quasi indenne al nostro occhio, facendo virare la luce del sole verso il giallo. In situazioni limite, quando il sole è molto basso sull’orizzonte e la sua luce deve attraversare una grande quantità di gas e pulviscolo, il disco del sole viene a tal punto impoverito delle componenti blu, verde e azzurro da assumere un colore rosso-arancione. Il colore del Sole che vediamo sulla Terra è dunque il risultato di una strana formula che si può scrivere così: Colore del sole=bianco-tanto_blu_violetto-un_po’_di_verde_azzurro. Ecco spiegato anche perché il cielo è azzurro/blu durante il giorno: queste tinte vengono infatti “sparse” ovunque, mentre gli altri colori proseguono verso la superficie, chi più, chi meno, indisturbati.
Bene, quindi il sole è (quasi) bianco ma dalla Terra ci appare giallo; perché abbiamo parlato anche di verde? Per spiegarlo, dobbiamo tornare alla composizione della sua luce.
Le stelle (quindi anche il Sole) sono ciò che in natura più si avvicina al concetto di corpo nero, ovvero di un oggetto che assorbe tutta la tutta la radiazione elettromagnetica incidente ed emette solamente la radiazione da lui generata, a ogni lunghezza d’onda, dando vita quindi uno spettro continuo il cui profilo di emissione dipende solamente dalla temperatura del corpo stesso.

Il profilo di emissione di tre tipi di stelle molto comuni nell’universo: una gigante bianco-blu, una come il nostro Sole e una nana rossa. Da notare che stelle caldissime o corpi celesti freddi presentano un picco fuori dal visibile.

Guardando il grafico notiamo che la nostra stella, in virtù della sua temperatura superficiale di circa 5500 °C, emette radiazione principalmente nello spettro del visibile, con lunghezze d’onda tra 400 e 700 nm (nanometri), e se vogliamo essere ancora più precisi tale picco si trova intorno ad una lunghezza d’onda pari a 515 nm che corrisponde al… verde, un verde acqua tendente all’azzurro! Quindi il Sole è verde acqua? Si direbbe proprio di sì!
Ma ancora una volta: perché allora, al netto dell’interferenza atmosferica, prevale il bianco? La risposta l’ho trovata su Wikipedia e su questo sito che mi sembra ben fatto.
Il nostro cervello, in base ai segnali inviati alle cellule cono fotorecettrici poste sulla retina dell’occhio, ci gioca uno scherzetto; le stelle aventi una temperatura con un picco dominante nel verde inviano anche tutte le altre radiazioni luminose incluse nello spettro (ovvero gli altri colori), che attivano contemporaneamente tutti e tre i tipi di coni, ovvero quelli che catturano la luce verde, quelli per la luce blu e quelli per la rossa. Queste informazioni vengono inviate al cervello che rielabora i tre colori percepiti e, pur essendoci una prevalenza di verde, li interpreta come bianco! A causa di questo “limite” nessuna stella non ci apparirà mai verde, tranne i casi di sistemi multipli in cui i colori delle componenti, sommati, restituiscano il verde: una gialla ed una blu per esempio, ma sono possibili anche altre combinazioni. Altri colori, come rosso e azzurro, non ci sono invece preclusi in quanto per le stelle che hanno il picco di luminosità a quelle frequenze (basta guardare il grafico: a sinistra del rosso e a destra del violetto c’è “poca roba” da vedere per i nostri occhi) il cervello non può operare la stessa fusione.
Rimarrebbe da spiegare perché il Sole venga descritto nel famoso diagramma di Hertzprung Russel (vedi qui o qui) come una stella nana gialla, di classe G2. Piccola lo è veramente (anche se esistono stelle di dimensioni molto minori), gialla invece, come detto, non proprio!
La conclusione? È sconcertante: il Sole è una stella che ci appare gialla ma che dallo spazio vedremmo bianca anche se in realtà è soprattutto verde!
Più chiaro di così…

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