Bucare l’inversione!
Due sono gli ingredienti di questo breve racconto: la passione per il ciclismo, che pratico tutto l’anno, e una giornata invernale serena e senza vento, l’ideale perché si verifichi un fenomeno meteorologico molto interessante: l’inversione termica.
È un gelido mattino del febbraio 1998. L’inverno, qui a Bolzano, ha caratteristiche piuttosto diverse da zone relativamente vicine come la Pianura Padana e il litorale adriatico. Il clima è piuttosto secco, la nebbia molto rara, così le giornate con cielo sereno e buona visibilità sono frequenti. Se questo significa un piacevolissimo soleggiamento durante le ore centrali del giorno, quando le temperature massime vanno talvolta a sfiorare i 10 gradi anche in pieno gennaio, durante la notte si subisce il rovescio della medaglia con la colonnina di mercurio che precipita subito dopo il tramonto: non per niente il clima di Bolzano è uno dei più continentali d’Italia!
È noto che l’aria fredda, più pesante, tende a concentrarsi verso il basso. A questo si aggiunga il fatto che la città si trova incassata tra i monti, a una altitudine (260 m) davvero modesta rispetto ai rilievi circostanti che in alcuni casi sfiorano i tremila metri. Il gioco è fatto: la configurazione è ottimale per il verificarsi dell’inversione termica.
Quel giorno, al mio risveglio, il termometro digitale indica una minima intorno ai nove gradi sotto lo zero. Fa freddo, davvero freddo per andare in bici. Ma è sabato, e non ho nessuna voglia di perdere l’occasione per una pedalata. Dopotutto dispongo dell’abbigliamento adatto anche per affrontare situazioni del genere. Inoltre, facendo ricorso alle mie cognizioni di meteorologia, so benissimo che salendo la temperatura aumenterà. Sembrerebbe un controsenso: una regola basilare della meteorologia insegna infatti che la temperatura dell’aria diminuisce di 0,6 – 1°C ogni 100 metri di salita, ma la Natura sa confezionare situazioni davvero strane, che sembrano create apposta per gli appassionati.
Eccomi dunque in sella alle nove del mattino sulla ciclabile che taglia in due una città ancora assopita, in una cornice più autunnale che invernale. Quest’anno, infatti, come spesso è accaduto nell’ultimo decennio, le precipitazioni nevose si sono fatte desiderare, tanto che prati e boschi al di sotto dei millecinquecento metri di altitudine sono quasi “al verde”. Unica consolazione per noi ciclisti è data dalla possibilità di sfruttare ogni tipo di strada, da quelle asfaltate alle forestali, per portarsi al di fuori della putrida cappa di smog che grava sul fondovalle.
In quattro chilometri pianeggianti sono alla stazione a valle della funivia del Colle, 250 metri di altitudine, temperatura di -6,6 gradi. Sul manubrio, oltre all’indispensabile contachilometri, ho fissato anche il mio orologio dotato di altimetro e termometro: un gioiellino che mi permette di tenere costantemente sotto controllo i principali parametri meteo.
Il sole ha già iniziato a intiepidire il versante opposto della valle: si prospetta una giornata luminosa, di quelle che poco più di un centinaio di chilometri verso sud, in Pianura Padana, ci invidiano terribilmente. Qui la nebbia è talmente rara che quando si manifesta (può succedere di attenderla per anni!) i bolzanini scendono in strada per godersi lo spettacolo!
Ma torniamo alla salita. La forte pendenza mi permette di avvicinare ben presto la fatidica quota alla quale si “buca” il tetto dell’inversione: in questo caso è posta intorno ai 700 metri, ma ovviamente l’altezza del “tetto” è variabile e dipende da vari fattori.
D’improvviso ecco una folata d’aria più mite portare una gradevole novità.
L’atmosfera a ogni pedalata si fa più tersa, la vista sui monti spettacolare, i raggi del sole piacevolmente tiepidi. E’ il momento di seguire passo passo il termometro digitale, che fino allora è rimasto praticamente inchiodato sui 6,5 gradi sotto lo zero. Tornante dopo tornante, la temperatura punta verso l’alto. L’escalation non conosce sosta fino a mille metri di quota e per un momento spero addirittura di superare lo zero. Non sarebbe male, considerato che sono le dieci di mattina e mi trovo in pieno inverno lungo un versante esposto a nord!
Purtroppo quando non manca molto alla vetta, posta ai 1300 metri della località Schneiderwiesen, il termometro riprende la discesa: dai due gradi sotto lo zero si torna ai -4,6 del punto più alto del mio itinerario. Ma la giornata è davvero spettacolare: il leggero vento da nord-est, tipico di una configurazione anticiclonica durante il semestre invernale, rende il cielo limpido e la visibilità eccezionale. Da qui alle vette del gruppo di Tessa, sopra Merano, ci sono oltre trenta chilometri in linea d’aria, eppure sembra quasi di poter toccare la neve caduta su quelle cime.
La discesa, in condizioni del genere, può diventare pericolosa per i tanti motivi di distrazione. Da una parte lo Sciliar, che con la il suo cappello di neve appare un panettone indorato di zucchero a velo, dall’altra i boschi della Mendola, purtroppo anche quest’anno “pelati” per la mancanza del mantello invernale.
Evito il più possibile di guardare verso il basso, dove si assiste all’effetto deleterio dell’inversione: tutta la Valle dell’Adige è sotto un’oscena cappa color caffellatte. Ogni moto verticale dell’aria, che permetterebbe un rimescolamento con gli strati superiori, è inibito. Mi vengono i brividi a pensare che presto ripiomberò in quella camera a gas.
Fosse per me, a intervalli regolari verrebbero organizzate delle escursioni sui monti circostanti Bolzano, in modo che da sottoporre la cruda realtà agli occhi di tutti.
Così qualcuno farebbe dell’auto un uso più responsabile e dell’inversione termica si potrebbero apprezzare meglio i lati positivi e i risvolti scientifici.