Chi volle l’unità d’Italia?

Questo è il primo di una serie di articoli che scrissi anni fa sull’onda di una nuova, grande passione: lo studio della storia d’Italia e del Risorgimento in particolare. Un’attività entusiasmante, anche perché conoscere le vicende del passato permette di comprendere con maggior chiarezza il nostro presente. Sapevo che mi sarei inoltrato in un ginepraio… e in effetti i commenti ricevuti lo confermano. Molte sono le opinioni che contrastano con la storiografia ufficiale, probabilmente troppo lineare e trionfalista, e va bene così: il pensiero unico lo lasciamo alle dittature!

All’esordio come appassionato di storia provo a confrontarmi subito con un argomento spinoso e “pericoloso”, in quanto terreno di scontro ancor oggi di varie fazioni politiche: l’unità d’Italia. Perché l’Italia, per secoli coacervo di stati e staterelli direttamente o indirettamente governati da potenze straniere, è divenuta in pochi decenni la nazione che conosciamo? Quali sono i fattori che hanno contribuito a tale singolare metamorfosi?
Dalle letture di questi ultimi anni la risposta appare piuttosto semplice e, purtroppo, non del tutto lusinghiera per la nostra patria.
Va premesso che dopo la caduta dell’Impero Romano il concetto di Italia rimase per lungo tempo, come sosteneva (o perlomeno pensava) Metternich, solamente “un’espressione geografica”. Dai Longobardi ai Carolingi, dagli arabi ai francesi, dagli spagnoli ai tedeschi, per diversi secoli i regnanti stranieri segnarono i destini della nostra penisola con buona pace dei nostri antichi connazionali (Franza o Spagna, purché se magna, era l’ironico ritornello coniato dallo storico e scrittore rinascimentale Francesco Guicciardini).
Un primo scossone a questa immobilità si ebbe con la Rivoluzione Francese del 1789 e con il successivo avvento al potere di Napoleone, che volle coinvolgere attivamente nel governo della Repubblica Cisalpina la popolazione locale e più o meno involontariamente ne risvegliò gli istinti patriottici sopiti da secoli (da citare la prima bandiera tricolore innalzata a Reggio Emilia nel 1797).
Nonostante la Restaurazione imposta dal Congresso di Vienna del 1815, qualcosa da quel momento continuò a covare sotto le ceneri. Lo dimostrano i moti del 1821 e del 1831 che, pur soffocati con una certa facilità, tennero in qualche modo in vita gli ideali dell’unità nazionale.
Bisogna però dire che, a quel tempo, il concetto di “Italia unita” tra la popolazione della penisola era alquanto sfocato. Tra l’agiato e istruito borghese del Nord e il povero contadino siciliano, vessato dalla più retriva aristocrazia feudale, vi era un abisso enorme. Ma anche all’interno dello stesso contesto sociale l’incomunicabilità regnava sovrana; basti pensare che nel 1848, durante le Cinque Giornate di Milano, le grida “morte agli austriaci!” si mescolavano a quel “morte ai sciuri!” (morte ai signori, ai nobili, ai ricchi) che spaventò a tal punto il comitato di liberazione da indurlo a ricorrere all’aiuto, poi rivelatosi controproducente, del re piemontese Carlo Alberto.
Le aspirazioni della borghesia e della nobiltà erano una vita confortata dal prestigio raggiunto in campo sociale ed economico; tra i ceti sociali più umili, invece, l’unico obbiettivo era la sopravvivenza: con la pancia vuota e senza la minima cognizione della situazione politica e sociale al di fuori del paesello, concetti quali “libertà” e “costituzione” erano decisamente fuori portata.
Con questi presupposti è chiaro che il processo unitario che si innescò durante il Risorgimento ha qualcosa di miracoloso. Fu senza dubbio determinato dal coraggio e dalla dedizione di un’élite, tra i quali si distinguono certamente la mente di Mazzini e il braccio di Garibaldi, ma nel quale molti altri personaggi, che spesso pagarono con la giovane vita le loro idee, meritano una citazione. Goffredo Mameli, per esempio, che mise nero su bianco le parole dell’inno d’Italia e che morì nel 1849, a soli 21 anni, durante la difesa della Repubblica Romana.
Tornando al motivo di questo pezzo, è dunque chiaro che l’unità fu per lungo tempo un sogno di pochi, o forse addirittura un’invenzione introdotta in tempi successivi: tanto per rendere l’idea, si consideri che la massima aspirazione di Casa Savoia era quella di annettere la parte settentrionale della penisola e che lo stesso Cavour, nei pochi momenti di libertà dagli impegni governativi, mai pensò di visitare l’Italia, preferendo piuttosto Francia, Svizzera e Inghilterra, dove già vigeva un solido apparato parlamentare.
A unire l’Italia furono dunque la fede assoluta nei principi libertari di alcuni intellettuali e il coraggio di uomini quali Pellico, Maroncelli, Garibaldi, Bixio, Pisacane, Mameli, Dandolo, Manara. Ma ancor di più poté Cavour, “l’omniministro”, professionista della politica in un parlamento piemontese fatto più che altro di dilettanti (della politica, s’intende), che riuscì a far suo, una volta capito che il processo di unificazione era irreversibile, il progetto di altri e consegnare su di un piatto d’argento a Vittorio Emanuele II gran parte della penisola italiana. In molti commenti a questo pezzo viene sottolineato l’interesse e gli intrighi di molti paesi stranieri, che per vari motivi (non sempre nobili) sostennero il processo di unificazione. Difficile entrare nel merito.
Cosa salvare, dunque, di questo processo storico? Di sicuro il coraggio ed il valore (spesso al limite dell’incoscienza) come soldato di Garibaldi e dei suoi uomini, la nobiltà delle idee mazziniane, l’astuzia politica e l’intelligenza di Cavour, l’eroismo dei giovani che andavano a morire in guerra cantando le arie di Verdi.
Messi insieme, volenti o nolenti, questi personaggi riuscirono nel miracolo di riunire l’Italia: il 17 marzo 1861 fu proclamata infatti dal parlamento piemontese il Regno d’Italia.
Altro paio di maniche fu creare uno spirito unitario negli Italiani, quello che al giorno d’oggi appare evidente solo in occasione del campionato del mondo di calcio… per dirne una, poco dopo la cacciata dei Borboni da Napoli, il luogotenente Farini scrisse a Cavour: “Altro che Italia! Questa è Africa. I beduini a riscontro di questi cafoni sono fior di virtù civile”.
Come diceva Massimo d’Azeglio: l’Italia era fatta, ora bisognava fare gli Italiani… e direi che è perlomeno azzardato affermare che al giorno d’oggi questa impresa sia stata portata a compimento.

9 Risposte

  1. Nicola ha detto:

    L’unificazione fu voluta dalla grandi potenze dell’epoca le quali sponsorizzarono pochi avventurieri per ottenerla sulla testa e forse contro la volontà dei popoli soggetti.

  2. Michele ha detto:

    Che l’Italia sia stata fatta su richiesta di inglesi e francesi e che ci sia una l’influenza delle dinastie reali non ci piove, però leggendo il tuo scritto, ho notato che manca la parte (99 %) relativa a questa semplice domanda: fino al 1861 dal SUD non emigrava nessuno perché?
    ***Ti rispondo qui, Michele: l’orizzonte del contadino del Regno delle due Sicilie non andava al di là del suo campo da coltivare, della sua cascina e della messa domenicale in Chiesa. Il suo mondo era quello. L’idea dell’emigrazione verso altre realtà, nazionali e non, l’affrancamento da una vita di sacrifici, la prospettiva di una vita migliore per i propri figli (tutti diritti sacrosanti!) sono concetti che si sono diffusi molti decenni dopo.

  3. Aldo Gentiloni ha detto:

    Mi è piaciuto l’articolo. Penso che andrebbe capito o spiegato meglio il chi e perché incaricò il braccio armato, guerrafondaio Garibaldi a fare quello che ha fatto. Secondo me si è trattato di una violenza, e che il risultato è stato quello di snaturare staterelli con un qualche carattere, facendo diventare i cosiddetti italiani di oggi nient’altro che gente che tutti usano per i loro fini, e non reagiamo, grazie ai Gentiloni.

  4. Andy ha detto:

    Quale unità se il nord ha costruito solo (come oggi) a proprio vantaggio!

  5. Guido ha detto:

    Ancora oggi dopo tutte le prove che avvalorano le falsità storiografiche sulla verità storica di cosa e stata l’unità d’italia, ma vorrei dire ai servili pennivendolo che ormai è acclarato che la famigerata unità di-taglia altro non fu che un’invasione da parte dei Savoia al servizio della massoneria britannica la quale non mancherà di essere grata all’eroe degli immondi

  6. Guido ha detto:

    A volere l’unità d’Italia furono principalmente gli inglesi, i quali volevano l’egemonia sul mediterraneo in previsione della costruzione del canale di Suez che apriva verso le colonie, nelle quali gli inglesi hanno solo depredato, per questo hanno finanziato cospicuamente i Savoia, casato in bancarotta, e Peppino Garibaldi

  7. Guido ha detto:

    Continuate a dire menzogne, non sarà oggi e nemmeno domani ma alla lunga diventeranno verità, false verità.
    COMMENTO DELL’AUTORE: Non so a chi ti riferisci, Guido, con quel “continuate”. Io non faccio parte di nessun movimento politico o ideologico, sono solo un appassionato che cerca di farsi un’idea al di sopra delle parti e non ho follower o discepoli di altro tipo che posso influenzare. In ogni caso questo articolo è stato scritto diversi anni fa; in seguito la mia visione è in parte cambiata, spostandosi un pochino verso quella che mi sembra di capire sia la tua posizione ;-)

  8. Guido ha detto:

    Unità d’Italia, la somma di tante bugie

  9. Simone Sorrenti ha detto:

    Ricostruzione storica molto approssimativa, fortuna che negli anni c’è stato un giusto revisionismo storico. Il Piemonte indebitato dalle guerre d’indipendenza, finanziato dagli inglesi (la perfida Albione che è anche dal secondo dopoguerra è stata egemonica rispetto a noi) con la scusa di unificare l’Italia e prendersi le ricchezze del Regno delle Due Sicilie (la differenza era di 20 a 1 pro Regno Due Sicilie), ancora credete alla storiella dei 1000?

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