I ghiacciai: un continuo divenire
Sempre arretreranno e sempre avanzeranno, contrariamente a ciò che si pensa…
COS’È UN GHIACCIAIO. Dare una definizione di “ghiacciaio” non è difficile. A elevate latitudini o altitudini si può innescare un processo per il quale la neve caduta durante l’inverno resiste all’estate che segue, sciogliendosi solo in parte. Ecco dunque che inizia un accumulo che, se si protrae per un tempo sufficiente, dà vita al ghiacciaio. La massa di neve, con il tempo, viene pressata a tal punto da subire una trasformazione simile al metamorfismo di alcune rocce.
Nel ghiacciaio distinguiamo una zona di accumulo e una di ablazione (scioglimento). Con il passaggio della massa glaciale vengono impresse sul paesaggio tracce inconfondibili. Tra le morfologie caratteristiche ricordiamo le morene, frontali o laterali, composte da una grande massa di materiale di diversa granulometria (dalla sabbia ai grossi frammenti rocciosi), i circhi glaciali, luoghi ad elevate altitudini modellati a forma di catino che ospitano la zona di accumulo, le torbiere, zone umide residuo di antichi specchi d’acqua lasciati da un ghiacciaio in ritiro, le rocce montonate, levigate “a dorso di montone” dall’azione abrasiva dell’acqua di scioglimento mista a sabbia e i laghi di origine glaciale. Da notare che praticamente tutte le valli alpine, anche a bassa quota, presentano in modo più o meno accentuato le morfologie descritte; va concluso che in passato i ghiacciai hanno avuto estensione ben maggiore di quella attuale. Estrema testimonianza di un ghiacciaio, quando esso tende a scomparire per l’aumento della temperatura, è un rock glacier, ovvero una pietraia dotata di una certa mobilità per azione gravitativa, sotto la quale resiste del ghiaccio residuo.

I ghiacciai possono essere considerati veri e propri archivi naturali dove vengono registrate le variazioni climatiche verificatesi in passato. Grazie all’estrazione di vere e proprie “carote” di ghiaccio (da qui il termine “carotaggi”) mediante lunghi tubi di metallo cavi, gli scienziati possono accedere a questo ricchissimo archivio ottenendo importantissime informazioni sul pianeta Terra delle ultime migliaia di anni. Esistono due grandi tipi di ghiacciai: le calotte e i ghiacciai locali. I primi si formano ad elevate latitudini, anche in zone pianeggianti. È il caso della calotta antartica, grande 43 volte l’Italia, e di quella groenlandese. Il secondo tipo è quello presente nelle nostre Alpi. Nonostante questi ultimi rappresentino solo il 4% della criosfera terrestre (lo scioglimento di tutti i ghiacciai locali non avrebbe grande influenza sul livello del mare), essi sono un prezioso serbatoio di acqua dolce non solo per gli ambienti limitrofi posti ad altitudini inferiori, ma anche per zone di pianura situate a grande distanza. Senza di essi i grandi fiumi padani presenterebbero un regime ben diverso, di tipo stagionale, e l’intero sistema agricolo ne risulterebbe ben presto compromesso.
Eppure non si può pretendere che nulla cambi per l’eternità…
UN PIANETA IN CONTINUO DIVENIRE! Parlare a sproposito dell’effetto serra è ormai uno sport nazionale. Programmi televisivi di ogni genere, da quelli di cucina ai talk-show pomeridiani, giornali d’ogni spessore e orientamento politico, personaggi dello spettacolo e pseudoscienziati, ognuno è pronto a sputare la propria sentenza, fondata di solito su di un bel po’ di luoghi comuni infarciti da qualche rozzo concetto di meteorologia recuperato chissà dove. C’è chi si lancia in assurdi catastrofismi affermando che in breve tempo gli oceani raggiungeranno la temperatura di ebollizione per poi evaporare completamente, che si limita più prudentemente a prevedere uno spostamento della fascia subtropicale verso nord, fino a inglobare l’attuale Italia settentrionale. In questo marasma, in cui di scientifico c’è davvero poco, chi la spara più grossa ha le migliori possibilità di “farsi vedere” e quindi di guadagnarsi attenzioni, interviste, apparizioni televisive, in sostanza…notorietà e/o soldi. Così, tra la gente comune, la confusione regna sovrana.
Gravissima è in questo caso la colpa della classe giornalistica, quotidianamente impegnata in un’opera di mistificazione che deriva in parte da una beata ignoranza e in parte, come detto, dalla necessità di mantenere alta la tensione di lettori e telespettatori. Così una normalissima diminuzione delle temperature in inverno si trasforma in una ondata di freddo senza precedenti, e cinque gradi sotto lo zero a Milano vengono spacciati come valori tipici delle zone polari. Allo stesso modo, il sia pur anomalo perdurare di un anticiclone subtropicale in pieno Mediterraneo nel periodo estivo dà il via a esilaranti considerazioni sullo spostamento dei tropici in Italia, supportate dal parere “autorevole” di qualche scienziato di serie B, il cui unico scopo è quello di guadagnare un po’ di visibilità sui media.
Con un po’ di sincerità, invece, andrebbe detta l’unica cosa che al momento è assodata: nessuno ha in mano la verità assoluta. Tra gli studiosi esiste una miriade di correnti di pensiero, chi propende per una tendenza ad un riscaldamento inarrestabile dovuto ai gas serra, che invece invoca “effetti di retroazione” che farebbero scendere le temperature medie in Europa Occidentale di diversi gradi centigradi. C’è anche chi nega ancor oggi un riscaldamento a livello planetario chiamando in causa il fatto che molte delle stazioni di rilevamento, a causa dell’espansione delle città, sono state inglobate nella cinta urbana, massicciamente cementificata, che presenta temperature ben più elevate della preesistente campagna. Oppure si fa ricorso a eventi accaduti in periodi più o meno remoti, che sembrano essere stati interessati da repentini sbalzi termici in un senso o nell’altro, anche senza l’intervento dell’uomo.
Le certezze, dunque, sono poche e vanno ricercate in contesti dove gli sterili allarmismi dei media non arrivano. Esiste uno stuolo di scienziati e appassionati che, svolgendo un certosino lavoro di rilevamenti e raffronti, sta gradualmente dipanando la matassa. Ciò che ne sta scaturendo è un pianeta in cui i meccanismi che regolano le oscillazioni climatiche vanno ben al di là delle figurine di alta e bassa pressione che qualche avvenente presentatrice ci fa vedere in TV.
Già nei secoli scorsi era apparso evidente agli scienziati che il clima terrestre fosse in continuo divenire. Alcune semplici osservazioni, la forma a truogolo di molte vallate, la presenza di massi erratici sparsi un po’ ovunque, le tracce di fiumi, laghi o foreste ora scomparsi, il ritrovamento di resti fossili di animali adatti a climi ben diversi da quello attuale, li portarono a concludere che nel passato si erano succeduti periodi caratterizzati da temperature e umidità assai varie.
Nonostante i limitati strumenti di ricerca a disposizione, già alla fine dell’Ottocento si stabilì che una fase fredda aveva interessato gran parte dell’Europa, imprimendo sulle rocce alcuni tratti caratteristici visibili ancor oggi. Quello che le successive generazioni di studiosi sono riusciti a stabilire è che sensibili oscillazioni climatiche interessarono la Terra fin dai primordi, tanto che esistono tracce (“tilliti”) di morene glaciali risalenti addirittura a centinaia di milioni di anni fa, in pieno Paleozoico. Anche considerando solo gli ultimi due milioni di anni, che corrispondono all’Era Quaternaria con i periodi Pleistocene e Olocene, si è riusciti ad identificare ben sei distinte ere glaciali (Biber, Donau, Günz, Mindel, Riss, Würm), durante i quali più del 10% dell’acqua del pianeta si trovava allo stato solido.
Tra la fine di una glaciazione e l’inizio della successiva (periodi interglaciali) trascorrevano decine di migliaia di anni, durante i quali il clima poteva essere anche più caldo dell’attuale. Ma sono i progressi degli ultimi due decenni che hanno rivoluzionato il modo di considerare la macchina climatica terrestre. È stato appurato che accanto alle vistose oscillazioni climatiche appena citate ve ne sono di minori, la cui durata è misurabile talvolta in migliaia, altre volte addirittura in centinaia di anni. A turbare il complicatissimo equilibrio climatico del nostro pianeta entrano infatti in gioco una miriade di fattori, alcuni individuati di recente.
Oltre alle già note cause astronomiche (variazione della distanza Terra-Sole e dell’inclinazione dell’asse terrestre) sono state chiamate in causa le grandi correnti oceaniche, in grado di influenzare temperatura e piovosità di vaste aree emerse, l’attività solare, che presenta una serie di alti e bassi sia sulla grande che sulla piccola scala temporale, le eruzioni vulcaniche, fonti di una gran quantità di polveri che vengono disseminate nell’atmosfera e riducono la radiazione solare in superficie, e i movimenti delle placche continentali, in seguito ai quali si hanno la formazione di grandi catene montuose e spostamenti in latitudine di vaste aree emerse.
Su un aspetto in particolare si dibatte sempre più frequentemente, sia nelle “alte sfere” che tra gli appassionati. Si tratta della possibilità che una diramazione della Corrente del Golfo, che rilascia un enorme quantità di calore lungo le coste inglesi e scandinave mitigandone fortemente il clima, possa indebolirsi e causare un abbassamento a dir poco repentino (si parla di alcune decine di anni!) della temperatura media di gran parte dell’Europa centro-occidentale. Tutto questo, per assurdo, proprio in conseguenza dell’innegabile tendenza ad un rialzo termico a livello globale, che causerebbe un rilascio di grandi quantità di acqua dolce imprigionata ora negli iceberg artici e turberebbe il delicato equilibrio della citata corrente. (Si veda l’apposito articolo a riguardo).
I GHIACCIAI NON SONO ETERNI! Perché questa lunga introduzione? Per dimostrare che, se la temperatura del pianeta è da sempre soggetta ad oscillazioni, questo non può che valere anche per i ghiacciai. Non hanno dunque molto senso gli allarmismi di chi pretende che lo status quo vada mantenuto, ora e sempre. Vi fu un periodo, chiamato “optimum climatico”, risalente ad alcune migliaia di anni prima di Cristo, durante il quale i i ghiacciai, si trovavano in condizioni ben più critiche delle attuali. Vi furono invece, all’acme delle glaciazioni pleistoceniche, fiumi di ghiaccio che percorrevano tutte le principali valli alpine fino a traboccare in Pianura Padana. Non si può dunque pensare al ghiacciaio come ad una sorta di entità immutabile, da mantenere ad ogni costo, anche violando le leggi della natura. L’approccio corretto è quello di individuare e correggere quelli che sono le influenze deleterie dell’uomo sul clima e sui ghiacciai per cercare di contenerne le conseguenze.
Che esse esistano, è fuor di dubbio. Quale possa essere il loro peso sulle vicende climatiche del prossimo futuro non è invece ancora chiaro. Anche qui i pareri si sprecano, ed è difficile saper distinguere quelli imparziali da quelli di chi è foraggiato dalle grandi multinazionali del petrolio per negare l’evidenza o cerca solo di farsi pubblicità. L’impressione è che l’azione dell’uomo non possa impostare un vero e proprio punto di svolta; può, piuttosto, agevolare e accelerare processi naturali in corso. Questo non giustifica in nessun modo le ingiurie che l’uomo sta infliggendo alla Natura. Ma è necessario che alcuni aspetti siano chiari.
L’ARRETRAMENTO È INCONFUTABILE. Appurato che il pianeta è soggetto a variazioni cicliche del tutto naturali, andiamo ora ad esaminare le prove dell’arretramento dei ghiacciai, fenomeno che sta avvenendo un po’ in tutto il mondo e che è diretta conseguenza dell’aumento di temperatura a livello globale. Nulla più di una documentazione iconografica potrà servire a sottolineare alcuni punti fermi.

Sul sito gletscherarchiv.de è possibile costatare l’impressionante arretramento dei ghiacciai alpini grazie al confronto tra foto d’epoca e la situazione attuale
A questo link del Comitato Glaciologico Italiano una cartina dei ghiacciai italiani.