Mille climi in Alto Adige

Dalle nevi perenni ai tepori submediterranei, tutto in pochi chilometri!

Distratti dalla frenesia del quotidiano, molti di noi hanno perso la capacità di cogliere nell’ambiente che ci circonda risvolti talora davvero sorprendenti. La Valle dell’Adige potrebbe rappresentare in tal senso un’ottima palestra per la varietà geografica che la contraddistingue.
Portiamo a esempio due situazioni tipo che si verificano regolarmente a Bolzano. La prima si svolge in una tranquilla giornata di fine marzo, quando la Natura è in fermento. Molte piante sono in fiore, altre hanno già dato alla luce le prime foglie in vista della nuova stagione vegetativa. La temperatura con il sole sfiora i 20 gradi centigradi; il freddo per gli abitanti della città sarà presto un ricordo. La situazione cambia drasticamente man mano che si alza lo sguardo. Alle altitudini medie la neve è ormai quasi completamente sciolta, ma il colore dei prati indica che l’alito mite della primavera stenta ancora a imporsi. In quota invece non c’è alcun segno di risveglio. Le cime dei monti sono ancora imbiancate; dove l’altitudine supera i 2000 metri l’inverno sembra in grado di resistere a oltranza. Ai tremila metri del Catinaccio la copertura nevosa formatasi durante l’inverno deve ancora essere intaccata e ci sono buone possibilità che venga alimentata da nuove precipitazioni nei due mesi a venire. È sorprendente pensare che tra queste diverse fasce climatiche vi siano solamente pochissimi chilometri in linea d’aria!
Seconda situazione: è pieno inverno, la città è spazzata da un forte vento settentrionale. Nonostante il cielo sereno e il sole splendente, la temperatura è di pochi gradi sopra lo zero. Eppure in queste condizioni, sui versanti esposti a sud dei monti che cingono la conca bolzanina, si possono trovare isole di sorprendente tepore. Sulle passeggiate di Sant’Osvaldo il vento è quasi assente; la protezione offerta dai monti e l’esposizione a sud creano condizioni inaspettatamente miti. Non per niente cipressi, olivi e altre specie termofile punteggiano la singolare boscaglia dal vago sapore mediterraneo. Può addirittura capitare che una piccola lucertola si affacci timidamente all’uscita della sua tana, quasi a chiedersi se sia giunto il momento del risveglio primaverile…
In un ambito tanto ristretto possiamo dunque osservare la presenza di una serie di fasce e di oasi climatiche che vanno dai distretti “submediterranei” della pianura, che ricordano almeno in parte le caratteristiche di località poste molto più a sud, ai climi subpolari d’altitudine, dove la vita è durissima anche per i tenaci licheni.
Ma quali sono i fattori che permettono una tale complessità climatica? Il primo può essere colto sulla carta fisica della provincia di Bolzano anche dall’occhio poco esperto ed è la grande varietà altitudinale che spazia dal fondovalle della Bassa Atesina, posta a poco più di duecento metri di altitudine, alla vetta dell’Ortles, che si erge a quasi quattromila metri sul livello del mare.
Tale aspetto, come già accennato, è in grado di giustificare la presenza di una serie di differenziazioni locali che vengono identificate con il termine “microclimi”.
Un secondo fattore emerge da un’analisi più approfondita. La cresta alpina principale, che va a definire il confine tra Italia e Austria nonché lo spartiacque tra i fiumi tributari del Mediterraneo e quelli del bacino imbrifero danubiano, è disposto secondo un asse prevalente ovest-est. Anche le creste secondarie, che orlano i versanti delle più importanti vallate, si ergono spesso a mo’ di barriera. Pochi varchi si aprono tra questi baluardi: il Passo Resia, a 1518 metri, e il Passo del Brennero, a 1321 metri, oltre ad altri valichi di minore importanza ed elevata altitudine (i passi Stalle e Rombo, per esempio, posti oltre i 2000 metri).
I tratti caratteristici del fresco clima mitteleuropeo rimangono dunque “alla porta”, filtrando solo in parte e mescolandosi con quelli mediterranei, dando vita a una singolare variante.
Il terzo fattore si identifica nella posizione strategica dell’Alto Adige, vero e proprio crocevia di correnti di estrazione completamente diverse. Ecco dunque da una parte le masse d’aria miti di origine meridionale od occidentale, foriere di piogge anche abbondanti, e dall’altra l’afflusso di aria di origine artica o polare, sia di tipo marittimo che continentale, che traboccano dalle pianure danubiane attraverso il valico di Prato alla Drava o dai passi ai confini con Austria e Svizzera.
La catena alpina viene dunque a fare da spartitraffico per tutti questi “spifferi” di varia origine. Ciò che ne risulta è un’eccezionale varietà del tempo da luogo a luogo, nel quale anche il meteorologo esperto troverà non poche difficoltà per non scontentare nella sua previsione il bolzanino, che godrà di un sole radioso per tutto il giorno, e il contadino della Valle Aurina, che, nelle stesse ore, potrà addirittura vedere la neve cadere sui suoi campi.
Non è facile rinvenire in altri luoghi una tale varietà climatica racchiusa in uno spazio tanto ristretto (poco più di 7000 chilometri quadrati). A dimostrazione di quanto grande possa essere il divario tra località separate da una manciata di chilometri si consideri il caso di Bolzano, situata a 260 metri sul livello del mare e ben esposta a sud, e il paese di Sarentino, vicinissimo ma in condizioni diverse per altitudine (950 m) e orografia. Ecco dunque che, se la prima ha presentato nell’anno 2002 una temperatura media annua di 13 gradi, valore che conferma tra l’altro il trend all’aumento su scala globale, la piccola località montana si attesta sui 5,8 °C, denotando un regime termico di ben altro tipo.
È stato detto dei diversi fattori che possono giustificare sorprendenti differenze di temperatura in provincia di Bolzano; gli stessi possono essere utilizzati per spiegare le grandi variazioni nella pluviometria. Anche in questo caso, infatti, le più disparate situazioni di altitudine ed esposizione danno vita a una miriade di combinazioni, nelle quali la discriminante è il diverso apporto di umidità trasportato dalle varie masse d’aria che si avvicendano sull’Alto Adige.
Così si può passare in pochi chilometri dal regime secco, quasi desertico, di alcune aree della Val Venosta, con poco più di 500 millimetri di pioggia annui, ai 1400 di San Leonardo in Passiria. Quelle località che si trovano a essere sopravento rispetto alle correnti umide beneficeranno di buoni quantitativi di precipitazioni; viceversa, se sottovento a elevati contrafforti montuosi, non potranno che essere raccolte le sole piogge residue.
Va inoltre detto che procedendo verso nord prende sempre maggior importanza il contributo umido delle masse d’aria provenienti dall’Europa settentrionale. Così, se alla latitudine di Bolzano tale apporto risulta quasi nullo, verso il confine esso tende ad acquistare rapidamente importanza; nello stesso tempo viene a perderne quello mediterraneo. È dunque possibile individuare una fascia, sia pur deformata da situazioni orografiche locali, nella quale la somma dei due apporti è minimo. Essa si può individuare congiungendo la Val Venosta con la media Valle d’Isarco, fatte salve le già citate zone della Val Passiria.
Oltre ai numeri, che rimangono comunque il punto di riferimento per un’esposizione di carattere scientifico, vi sono altri aspetti che sottolineano la presenza di tali microclimi. È il caso della diversa vegetazione che colonizza le zone citate. Nella conca di Bolzano, e ancor più lungo le passeggiate che risalgono i versanti di Monte Guncina e Monte Tondo, non è difficile notare la presenza di varietà botaniche tipiche di luoghi esotici. Si pensi al fico d’India e all’Agave Americana, qui portati dall’uomo nell’Ottocento e subito acclimatatisi, quando di Bolzano si voleva dare, non del tutto a torto, l’immagine di una città dal clima mite e rigenerante. Ma vi si possono trovare anche un gran numero di palme, olivi, lecci, varietà che, pur non giungendo a completa fruttificazione, confermano la presenza di un regime termico a loro non troppo ostile. Dove invece a prevalere sono gli influssi nordici, le specie botaniche avranno connotati ben diversi: abeti, pini mughi e licheni sottolineano la presenza di regimi termici particolarmente freddi.
Altro aspetto da non sottovalutare nella definizione della moltitudine climatica altoatesina è la complessa realtà litologica esistente. Tralasciando le formazioni locali, che pur non sono poche, possiamo considerare la nostra provincia come composta principalmente da rocce calcaree nella parte meridionale, da porfidi in quella centrale e da scisti cristallini (rocce metamorfiche) in quella settentrionale. La risposta di questi tipi litologici al riscaldamento solare è diversa. Il colore rosso-bruno dei porfidi bolzanini garantisce un efficace assorbimento e immagazzinamento del calore solare, ben maggiore delle rocce di colore chiaro come il calcare, per esempio. L’esposizione a sud completa il quadro: la già citata presenza di vere e proprie isole botaniche di sapore mediterraneo sui versanti porfirici della conca bolzanina trova ulteriore supporto.
Oltre alla botanica, anche lo zoologia può agevolare il proposito di questo articolo. Nei succitati microclimi, infatti, non è raro osservare rettili e uccelli tipici di isole mediterranee. È facile per esempio scorgere sui muretti o tra le pietre in città la lucertola muraiola che si gode il caldo sole altoatesino fino ad autunno inoltrato; più difficile, ma solo perché di carattere più schivo, è l’osservazione del ramarro. Negli stessi ambienti si trovano ben sette diverse specie di serpenti, tra cui il biacco e alcuni viperidi. Nella boscaglia termofila di Roverella e sui prati nei dintorni della città prosperano inoltre cicale e mantidi religiose, nonché un gran numero di farfalle appartenenti alle più diverse specie, tutte provenienti dall’area mediterranea e giunte fin nel cuore della regione alpina dopo l’ultima glaciazione. Ricordiamo infine alcune varietà di chirotteri come il vespertilio maggiore e il rinolofo.
Seguendo lo stesso copione, animali dei climi freddi si trovano invece in altitudine e sui versanti montuosi esposti a nord: il camoscio, lo stambecco, la marmotta, l’ermellino, l’aquila reale, il gallo cedrone, il fagiano di monte, la civetta nana, il picchio e molti altri. In alcuni contesti, dunque, possiamo dire che la presenza dell’arco alpino comporta un contenimento degli estremi termici e pluviometrici. Esistono però aspetti decisamente più problematici che interessano le varie cittadine poste sul fondo delle conche, da Bolzano a Merano, da Brunico a Bressanone. Qui, per la particolare configurazione morfologica, l’inverno vede spesso la formazione di una massa d’aria fredda e pesante (talvolta chiamato “cuscino”) che staziona immobile per diversi giorni, sovrastata, qualche centinaio di metri più in alto, da aria più mite e leggera. A ciò spesso si aggiunge la totale assenza di vento, che sia di carattere locale (brezze) o legato alla circolazione generale. Si viene così a creare il fenomeno dell’inversione termica: per giorni e giorni ogni inquinante immesso nell’aria rimane confinato nello strato di inversione per l’impossibilità di disperdersi verso l’alto.
Gli inverni degli anni 90, frequentemente dominati da figure anticicloniche, sono stati caratterizzati da livelli eccezionalmente alti di polveri sottili sia in val d’Adige che in Pianura padana.
È interessante notare inoltre come la Natura sia in grado di creare, grazie a concomitanti fattori di carattere geologico e morfologico, isole climatiche ancor più circoscritte e singolari di quelle fin qui esaminate. Classico esempio sono le famose “buche di ghiaccio” di Appiano, dove un’immensa frana scesa dal monte Penegal ha dato origine, in corrispondenza del suo piede, a un particolare fenomeno. Il luogo si trova in una conca profonda e di piccole dimensioni; dalla moltitudine di fessure del grande macereto roccioso fuoriesce una corrente molto fredda. La sua bassa temperatura si spiega con il fatto che l’aria, già fresca in partenza, si raffredda ulteriormente per il processo di espansione che subisce durante la discesa. Curioso notare come avvicinandosi al sito vi sia un rapido cambiamento della vegetazione, unitamente a un brusco calo della temperatura. Sul fondo della conca muschi e abeti conferiscono all’ambiente tratti di alta montagna.
Anche l’intervento dell’uomo sugli ambienti in cui vive contribuisce alla presenza di molteplici contesti climatici in provincia di Bolzano. Esso trova la sua massima espressione nella urbanizzazione delle aree di pianura, fattore che modifica pesantemente il regime termico su scala locale. Le aree cementificate fungono, infatti, da formidabili accumulatori di calore che viene gradualmente restituito durante la notte. Se dunque durante il giorno il centro cittadino si riscalda a dismisura rispetto alle zone circostanti, di notte la situazione si fa ancor più eclatante; differenze di temperatura dell’ordine di alcuni gradi rispetto alle aree rurali circostanti rappresentano la normalità sia in estate che in inverno, periodo quest’ultimo nel quale gioca un ruolo non secondario anche il calore prodotto dagli impianti di riscaldamento e dal traffico veicolare e altre attività antropiche. Tutto ciò non fa altro che generare una grande “isola di calore”, falsando talora sensibilmente il raffronto con i dati risalenti a molti decenni fa, quando l’influenza umana era minore, e alimentando una sorta di panico da effetto serra non del tutto giustificato.

La cementificazione di vaste aree può avere una rilevante influenza sul microclima locale (fonte immagine: Wikipedia)

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