Naufraghi spaziali
In un lontano futuro l’umanità potrebbe utilizzare un grande asteroide come astronave-arca per abbandonare la Terra ormai morente…
Un nero profondissimo, fatto di nulla, eppure a suo modo incredibilmente spettacolare. Un mare denso e scuro, senza inizio né fine… a Marco capitava spesso di soffermarsi dinnanzi al vuoto sul quale si affacciava la grande vetrata della sala ricreazione. Vi rimaneva a lungo, scrutando quello scenario che riusciva a esercitare su di lui un’attrazione irresistibile.
Curioso il fatto che l’umanità, al tempo dei primi telescopi, ritenesse il cielo un luogo popolato in ogni suo angolo da una quantità sterminata di stelle e pianeti multicolori. Le verifiche strumentali avevano poi rivelato una realtà ben diversa: nonostante il numero di stelle fosse in effetti enorme, alla fine dei conti il cosmo risultava costituito in gran parte di vuoto1.
Non era raro quindi che lo sguardo di Marco si perdesse nelle tenebre, senza che gli riuscisse di osservare una sola flebile luce scintillare nel cielo
Da qualche giorno, purtroppo, quella appassionata contemplazione aveva assunto un significato ben diverso: era diventata la spasmodica attesa di un evento che avrebbe potuto annientare il suo mondo. Un mondo che si riduceva a ben poco, ma che rappresentava pur sempre la sua casa.
Si trattava di un asteroide vagante nel cosmo, dal quale era stata ricavata una cavità resa adatta alla vita umana, estrema testimonianza di un pianeta, la Terra, giunto alla fine della sua esistenza.
Troppi errori nella gestione delle risorse planetarie avevano portato la biosfera al collasso finale. Così, a diecimila prescelti, e tra di essi anche i nonni di Marco, era stata concessa la possibilità di salvarsi prendendo posto su quella arditissima arca spaziale. La destinazione finale del lunghissimo viaggio, del quale solo i loro discendenti avrebbero visto il termine, era un sistema stellare distante venti anni luce. Lì, un giorno, sarebbero state gettate le basi di una nuova civiltà che facesse tesoro degli errori del passato.
Fino ad ora Nuova Terra, la grande città costruita nel cuore dell’asteroide, era rimasta al riparo da ogni pericolo. Raggi cosmici e meteoriti non avevano potuto nulla dinnanzi ai cinquanta metri di dura roccia che la proteggevano. La vita era trascorsa placidamente, in attesa del tanto sospirato arrivo sul nuovo mondo. Vaste aree coltivate e tecnologie avanzatissime garantivano ai pionieri dello spazio tutto ciò di cui avevano bisogno, cibo, acqua e aria. Il risultato ottenuto era formidabile: si trattava di un mondo completamente autosufficiente, dove i processi naturali avevano trovato un loro equilibrio, sia pur molto diverso da quello terrestre.
L’allarme lanciato dai computer aveva improvvisamente rotto l’incantesimo: una supernova2 esplosa nei pressi dell’asteroide aveva scagliato nello spazio circostante una colossale massa di plasma incandescente. Le informazioni raccolte avevano subito disegnato un quadro sconfortante. Anche se gli abitanti di Nuova Terra fossero riusciti a sopravvivere alla collisione, la devastante onda d’urto avrebbe trascinato inesorabilmente l’asteroide fuori rotta, verso una regione vuota e sconosciuta del cosmo.
Marco era un pilota, e come tale si trovava coinvolto in prima persona nel progetto di salvataggio di Nuova Terra. Avrebbe guidato la flotta di Aquila, le eleganti navicelle in dotazione alle strana comunità viaggiante, per disporre una serie di cariche antigravitazionali attorno all’asteroide, in modo da creare un’onda d’urto uguale e contraria a quella in arrivo.
Ma il compito si prospettava davvero difficile. L’esplosione non avrebbe potuto essere attivata dalla base: l’enorme quantità di radiazioni che da giorni tempestava l’asteroide rendeva difficile anche le comunicazioni tra i vari settori della città. Era dunque necessario l’impiego di piloti che disponessero le cariche con la precisione millimetrica necessaria e quindi, portatisi a distanza di sicurezza, impartissero il comando per l’esplosione.
Insieme a Marco altri piloti si erano fatti avanti. Dopotutto, che senso avrebbe avuto trascinare la propria esistenza senza dare una speranza, se non a se stessi, almeno ai propri amici e famigliari?
Marco si ridestò dai suoi pensieri. L’asteroide, nel suo moto di rotazione, stava gradualmente rivolgendo Nuova Terra verso la supernova, dando vita a una luminosissima quanto inconsueta alba cosmica. Il colpo d’occhio dalla sala ricreazione era davvero straordinario: una luce intensa, posta al centro di un enorme alone gassoso dai mille colori, si stagliava nel nulla più assoluto occupando una parte consistente del cielo. Uno spettacolo che, in qualche modo, ricordava quello che il Sole aveva offerto per millenni agli antenati terrestri.
Ciò che avrebbe potuto causare la loro fine era l’alone luminescente attorno alla stella. Si trattava di una massa di polvere e gas talmente caldi da poter fondere la pietra, in espansione a duecento chilometri al secondo.
E mancavano solamente sei ore al contatto.
“Mortalmente bella, non trovi” -esordì una voce, che sorprese Marco ancora assorto.
“Ciao, John. Già finito di studiare le simulazioni?”.
“Proprio cinque minuti fa. Secondo il computer ci sarà da ballare…”.
“E noi balleremo, che problema c’è?” -proseguì un’altra voce.
“Victor, anche tu qui?”.
“Beh, volevo lanciare un’ultima occhiata al nemico, non credo che tra qualche ora potremo farlo con la stessa calma!”.
“Ragazzi, tutti e tre a confabulare invece di definire i dettagli?”
“Francesca!” -esclamò Marco con una voce che tradiva qualcosa in più del semplice piacere nel vedere un’amica.
“Ciao, ragazzi! Vengo dalla sala operativa…sembra che dovremo anticipare la missione”.
“E di quanto?”.
“Due ore. Questo significa che ci rimangono trenta minuti per i preparativi”.
“Bene, allora non perdiamo altro tempo. John, verifica le cariche installate sulle Aquila. Tu, Victor, esegui un controllo di livello tre a tutti i sottosistemi delle navette…”
“L’ho già fatto questa mattina, Marco!” -rispose Victor, ben sapendo che non ci sarebbe stato modo di fargli cambiare idea.
“Lo so” -ribatté lui fermamente- “ma in questa missione tutto deve funzionare alla perfezione. Non possiamo permetterci il minimo errore”.
L’amico uscì dalla sala ricreazione senza dire altro. Sapeva fin troppo bene che in una situazione del genere nessun controllo era superfluo. Marco era stato nominato capo della squadriglia proprio per la sua capacità di essere risoluto anche con gli amici più stretti, se necessario. Ma, come ogni essere umano, anch’egli aveva i suoi punti deboli.
“Prepara l’equipaggiamento e resta a disposizione” -raccomandò a Francesca con tono ben più accomodante, una volta usciti gli altri.
“Sai che non voglio trattamenti di favore” -reagì lei. “Quello che c’è tra noi non deve influenzare il tuo comportamento”.
“Lo so, me lo continuo a ripetere. Ma ho il terrore che lassù possa succederti qualcosa”.
“Sono un pilota, Marco” -proseguì lei con fermezza. “Affrontare questa missione è stata una libera scelta. E poi, vedrai, andrà tutto bene!”
Marco si sforzò di salutarla con un sorriso. Come comandante della missione, aveva accesso a dati di cui gli altri ignoravano l’esistenza. Tra questi vi era la percentuale di successo calcolata dal computer: non raggiungeva il trenta per cento.
Eppure bisognava tentare, su questo non c’era alcun dubbio.
Il progetto che avrebbero posto in essere rappresentava l’unica opportunità di continuare il lungo viaggio della speranza. Lo ripeté tra sé più volte, mentre percorreva i corridoi della città sotterranea, con la consapevolezza che poteva trattarsi dell’ultima volta.
Nuova Terra era da sempre la sua casa e se fosse sopravvissuto lo sarebbe rimasta per il resto della sua vita. Forse per la prima volta quell’ambiente artificiale gli apparve caldo e accogliente, abbastanza da poterne sentire la mancanza.
Salutò gli amici e i compagni di mille missioni, e non mancò per ognuno di essi la promessa di rivedersi di lì a breve. Si ritrovò in sala equipaggiamento ancora immerso nei suoi pensieri. Un solo cenno di buona fortuna con i compagni di avventura, quindi ognuno prese il posto nella propria Aquila.
“Dieci minuti al lancio” -risuonò la voce del computer.
“È tutto a posto, Victor?”. Marco conosceva benissimo le capacità del suo secondo, e non ne avrebbe mai messo in dubbio l’operato. Ma non gli riuscì di dire qualcosa di meglio per rompere il silenzio e, forse, per scambiare l’ultima parola con l’amico. Victor confermò con un sorriso di comprensione.
Pochi minuti dopo le Aquila erano in formazione di volo sopra Nuova Terra, al cospetto dell’alone iridescente, ormai vicinissimo. La struttura delle navicelle, ardita e snella, era il meglio che la tecnologia umana avesse mai espresso; ma la cosa non garantiva ai cinque temerari di poter rivedere i loro cari lasciati sull’asteroide.
“Due minuti al punto prestabilito” -avvertì Marco seguendo gli strumenti. “Ognuno prenda posizione seguendo le indicazioni del computer di bordo”.
Dalla carlinga delle quattro Aquila, elegantemente sospese nello spazio, si allungò un braccio meccanico. Le cariche antigravitazionali agganciate alle loro estremità vennero gradualmente disposte lungo una immaginaria fascia, a costituire una sorta di sbarramento cosmico.
“Ottimo lavoro, ragazzi” -riprese la voce del comandante, sempre più disturbata dalle interferenze elettromagnetiche. “Ora disponiamo la seconda linea di difesa”.
Le navette percorsero un breve tratto, quindi si sistemarono nuovamente ad arco dinnanzi al fascio di fuoco, ormai luminosissimo.
“Temperatura e livello di radiazioni sono a valori critici. Cerchiamo di fare in fretta, ragazzi!”
“Carica deposta e attivata” -confermò Francesca.
“Lo stesso anche per me” -annunciò Victor.
“Sono pronto anch’io” -concluse John- “aspettiamo il tuo segnale per ripartire”.
“Carica deposta e attivata, rotta per Nuova Terra” -ordinò Marco.
Tre Aquila si disposero istantaneamente in formazione, ma la quarta rimase immobile.
“Marco, che succede?”.
“C’è stato un calo di potenza. Passo ai motori ausiliari…”
Dopo un istante l’Aquila si mise lentamente in moto, accostandosi alle altre. Qualcosa, però, non stava andando per il verso giusto.
“Ci sono altri problemi?” -chiese Francesca preoccupata.
“Il computer indica un calo dell’energia a disposizione. È probabile che l’Aquila abbia subito un impatto con un detrito vagante. Non credo di poter tornare alla base in queste condizioni…”
“Non ce ne andiamo senza di te!” -disse John.
Marco rivolse lo sguardo al mare di fuoco distante solamente poche migliaia di chilometri. Non c’era molto da fare, ormai. Tra pochi secondi le cariche sarebbero esplose, e lui si sarebbe trovato nel bel mezzo della festa. Ma non poteva certo accettare che tutta la squadriglia ne rimanesse coinvolta.
“Allontanatevi subito, è un ordine!” -tuonò.
“Ma, Marco….”.
“Nessuna obiezione! Conoscete meglio di me il regolamento! Il vostro compito è proteggere Nuova Terra. Andate!”
Tutti conoscevano fin nel minimo dettaglio le priorità da rispettare in una situazione simile. Anche la logica sconsigliava di mettere a rischio dodicimila vite per salvarne una sola. Una a una le Aquila volsero la prua verso Nuova Terra, schizzando a tutta velocità verso l’unica ancora di salvezza.
Tutte, tranne una…
“Francesca, rientra immediatamente alla base!” -ringhiò nuovamente Marco, conscio del fatto che a ogni secondo le possibilità di salvezza si facevano più esigue.
“Non me ne vado senza di te, punto e basta” -replicò lei seccamente.
“Predisponi la tua Aquila per l’agganciamento. Vengo a prenderti!”
Marco non rispose. In fondo, si sarebbe stupito nel vedere la navicella della sua compagna andarsene insieme alle altre, lasciandolo in quella situazione: lui si sarebbe comportato allo stesso modo. Abbandonò l’inutile tentativo di sbloccare i motori e impostò una sequenza di comandi a console. Si liberò delle cinture e balzò in piedi, eseguendo un rituale che aveva ripetuto mille volte durante le esercitazioni.
Qualche attimo dopo una grande portello posto sul dorso dell’Aquila di Marco si aprì, e la navicella di Francesca con una manovra lestissima vi si posizionò sopra.
“Tunnel di collegamento transitabile” -annunciò. In pochi secondi Marco fu nell’Aquila della compagna. Le lanciò uno sguardo di tenero rimprovero, ma lei fece finta di nulla.
“Parti, dai!- le disse affettuosamente.
La navicella puntò la prua verso Nuova Terra quando le spire di gas incandescente stavano ormai inondando lo spazio circostante.
“Siamo alla massima velocità” -annunciò Francesca- “ma non so se basterà…”
“Dovrebbe bastare” -disse Marco, sforzandosi di essere ottimista.
“Nuova Terra, rispondete! Qui Aquila 2! Stiamo rientrando alla base. Aquila 2 chiama Nuova Terra…”.
“Marco, noi siamo rientrati” -la voce di John, appena avvertibile tra i disturbi, ruppe il silenzio che era calato nel modulo della navetta.
“John, sono contento che almeno voi…”.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, noi vi aspettiamo alla base! Prima di allontanarci abbiamo aggiunto cento secondi al conto alla rovescia. È il massimo che potevamo concedervi. Vi restano cinque minuti per rientrare”.
“Ok. Ce la metteremo tutta, Victor!”.
La febbrile attività della sala operativa di Nuova Terra, che da tempo immemorabile non conosceva soste, si interruppe improvvisamente, lasciando spazio a un silenzio irreale. Gli occhi di tutti erano incollati al grande display della sala comandi, dove una spia lampeggiante riportava in tempo reale il disperato tentativo di rientro di Aquila 2.
Il punto luminoso sembrava muoversi con una lentezza esasperante, nel disperato tentativo di sfuggire a un destino apparentemente già scritto.
“Dieci secondi alla detonazione” -scandì il computer- “…nove, otto, sette…”
“Eccola, eccola!” -Victor fu il primo ad avvistare l’Aquila in avvicinamento alla superficie. La navetta puntò decisamente verso la pista d’atterraggio, sembrò potercela fare…
“Due…uno…
Un attimo dopo il cielo che circondava la base si tinse di una luce accecante. L’Aquila, la pista d’atterraggio e tutto ciò che era al di fuori di Nuova Terra ne furono inondati.
“Tre secondi all’arrivo dell’onda gravitazionale” -riprese con freddezza la voce artificiale. Non ci fu il tempo per sincerarsi se Aquila 2 fosse riuscita a atterrare. Ogni cosa all’interno della base iniziò a vibrare. L’onda gravitazionale stava deformando lo spazio, gli oggetti all’interno della base, gli uomini stessi. Una serie di esplosioni scosse la superficie.
“Danni strutturali nei settori esterni” -annunciò il computer tra lo stridore delle sirene. “Le aree interessate sono state sigillate”.
Nessuno diede grande importanza agli annunci del calcolatore. A tutti premeva invece conoscere la sorte dei due piloti.
“Marco, Francesca, ci siete?” urlò Victor, non appena passato il peggio.
Sul grande display posto nel centro della sala operativa le immagini provenienti dall’esterno ripresero gradualmente forma. Per un attimo sembrò di intravedere una sagoma posta sulla pista d’atterraggio, poi una seconda onda gravitazionale portò nuovo scompiglio dentro e fuori la base.
“Aquila 2!” -urlò nel comunicatore Victor- “per favore, rispondete!”- implorò.
Trascorsero uno, due, tre interminabili secondi…
“Perché strilli tanto?” -d’un tratto la voce di Marco si intuì chiaramente tra i disturbi di sottofondo.
“Siamo vivi, è ovvio” -continuò con tono beffardo.
“Marco, ci avete fatto stare in ansia!”.
“È tutto OK, Victor, non ti preoccupare! L’Aquila, piuttosto, è un po’ ammaccata. Tu, comunque, come al solito hai fatto un buon lavoro. Devi ancora imparare a prevedere l’imprevedibile, poi sarai perfetto!”.
“Ce la metterò tutta, Marco!” -rispose Victor sorridente.
“Io e Francesca saremo in sala comandi tra pochi minuti. Amici, il sogno di Nuova Terra continua!”
Note
1) Si calcola che la densità media dell’universo sia di circa un atomo per centimetro cubo!
2) Fenomeno per il quale una stella di grandi dimensioni esplode emettendo, per un breve periodo di tempo, una quantità di energia pari a quella di una intera galassia!