Quattordici anni da ciclopendolare
Ritengo che la mia esperienza da pendolare in bici, durata dal gennaio 2005 a fine 2018, meriti di essere ricordata. Un po’ per la costanza che ho sempre dimostrato, visto che ho pedalato quotidianamente per 20-50 km sia in estate che in inverno con qualunque condizione meteo, limitando i passaggi in auto e in autobus a rarissime occasioni, un po’ perché voglio mettere nero su bianco il bagaglio di esperienze e avventure che ho maturato in quegli anni. L’attività si è svolta tra il paese di Appiano e la città di Bolzano, divise da circa 10 km e 200 metri di dislivello.
Tutto è iniziato nel 2005, in pieno inverno, non certo il momento migliore per dare il via a un’attività del genere. Ma ero già deciso da tempo e non mi mancava l’abbigliamento giusto, visto per me le uscite invernali in bici non erano una novità. Non era quello il problema, nonostante gli inverni altoatesini siano piuttosto crudi. Il fatto è che fare il “ciclopendolare” (bike commuting in inglese, o anche bike to work) comporta una serie di questioni supplementari rispetto alla classica attività cicloamatoriale.
Prima di tutto, l’orario delle uscite è obbligato. Bisogna saltare in sella la mattina presto anche se piove, nevica o tira vento. Si deve inoltre ricordare tutto ciò che può servire al rientro, dalle luci al necessario nel caso in cui le condizioni meteo volgano ad un peggioramento. È necessario infine organizzarsi in modo da entrare in ufficio vestiti decentemente anche dopo un tragitto sotto la pioggia o la neve, oppure quando in piena estate la temperatura è alta già la mattina presto. In questo mi ha senza dubbio aiutato il poter disporre di un garage dell’azienda per la quale lavoro, nel quale potevo lasciare la bici al sicuro e cambiarmi in tutta tranquillità.
La tipologia di bicicletta è un’altra questione che mi ha tenuto impegnato per anni. Ho iniziato (a parte il periodo invernale, di cui parlerò dopo) con un modello sportivo, pedali con cinghiette, dotato di un terribile cestino anteriore (non ho purtroppo una foto…) con la quale tra le altre cose mi divertivo a bastonare i classici “ciclofighetti” su bici da millemila euro.
All’inizio mi sembrava normale fare il pendolare con una bici da poco conto e usare quella da corsa solo per le uscite del fine settimana. Pian piano le cose sono cambiate e nel corso del tempo ho iniziato ad organizzare dei rientri a casa sempre più articolati, giungendo a percorrere anche 40-50 km con bici di buona qualità. Nell’ultimo periodo, ogni volta che il meteo era favorevole, usavo la bici da corsa. C’è stata quindi una progressiva evoluzione nella mia attività di ciclopendolare, che non ha interessato solo il mezzo utilizzato, ma anche l’abbigliamento. E qui si apre un mondo fatto anche di aneddoti divertenti… come quella volta che giunto in garage a Bolzano mi accorsi di non avere i pantaloni, e dovetti rimediarne un paio da mia madre. Oppure le occasioni in cui, sottovalutate le condizioni meteo, mi vidi costretto a lavorare con gli abiti bagnati in ufficio.
E che dire di quando mi trovai costretto a riportare la bici in garage a causa delle condizioni proibitive delle strade, e mi improvvisai pedo-pendolare?
L’argomento è così vasto che a un lunghissimo elenco ho ho preferito portare ad esempio alcune delle (dis)avventure che ho vissuto in quegli anni. Una sorta di esposizione semiseria di quella che è stata sempre e comunque un’attività piacevolissima, in cui svariate volte mi sono divertito a sbeffeggiare gli schiavi del Dio Motore, costretti ad estenuanti attese all’interno della loro scatoletta di latta solo per coprire una manciata di chilometri.
Tutti gli episodi meritevoli di una segnalazione sono contenuti nel ciclodiario presente sul mio sito.
Il ciclodiario, per esempio, si apre con l’episodio in cui, uscito subito dopo pranzo dall’ufficio, pedalai per 40 km sotto la neve (io adoro la neve!), i primi 20 sulla ciclabile fino alla località di Egna, dove lo spessore del manto mi costrinse a ripiegare sulle strade aperte al traffico. Ad un certo punto la viabilità andò in tilt e dovetti addirittura passare in campagna, tra i meli, a causa di un camion finito di traverso sulla Strada del Vino. Per il ritorno ad Appiano non mi restò che la salita per Caldaro, sulla Provinciale, perché le strade secondarie e la ciclabile erano inutilizzabili. Ovviamente disponevo di pneumatici chiodati; con quelli tradizionali non sarei andato da nessuna parte! Ecco, gli pneumatici chiodati. Una delle dotazioni che mi sono state indispensabili nei primi anni, e che invece negli ultimi inverni non ho praticamente più utilizzato. Cambiamento climatico o semplice coincidenza? Ai posteri l’ardua sentenza. In ogni caso si tratta di un articolo che quasi nessun bike commuter in Italia, a parte nelle estreme regioni meridionali, può trascurare. L’ho imparato ben presto, dopo le prime scivolate sulla ciclabile. In inverno la presenza di inversioni termiche può creare infatti situazioni sorprendenti, e non era raro che partissi da casa con 5-6 gradi e trovassi poi lastre di ghiaccio nelle zone che d’inverno rimangono sempre all’ombra. Notare che anche le gomme chiodate hanno subito un’evoluzione Nei primi inverni le montavo su una MTB, cosa che rendeva il mezzo una sorta di piccolo carro armato, ben piantato ma molto poco scorrevole. Non vi dico la sensazione su asfalto morbido… sembrava quasi che i chiodi vi affondassero, rendendo la pedalata molto pesante. Poi, miracolo, scoprii che esistono anche i chiodati per le city bike! Così mi trovai a pedalare con maggiore scioltezza, pur rinunciando ad un poco (ma non molto) di stabilità su ghiaccio e neve.
Dal ciclodiario apprendo che solo a fine 2008, senza più riduzioni di orario per congedo parentale, iniziai a rientrare al buio. Anche questa è una questione spinosa. Quando si esce dalla città bisogna disporre di un fanale che sia in grado di illuminare la strada, non basta segnalare semplicemente la propria presenza. Quello di cui disponevo io ha una potenza di 400 lumen, sufficiente per poter guidare la bici anche in discesa. Potenze maggiori disturbano eccessivamente gli altri… mi capitava talvolta di incrociare ciclisti (soprattutto su bici elettriche) agghindati con uno o più fanali potentissimi, accecanti. Del tutto inutili, perché non c’è bisogno di illuminare a giorno i cento metri davanti a sé, suvvia! Gilet fosforescente, led rosso posteriore e un kit di illuminazione di emergenza sono altri elementi indispensabili nel periodo in cui le ore di luce sono poche. Ricordo una sera, con l’oscurità ormai quasi completamente calata, che mi trovai a scendere verso Appiano con il fanale che stava andando velocemente spegnendosi… avevo dimenticato di ricaricare le batterie! Brutta esperienza, ma anche in quell’occasione a casa in qualche modo ci arrivai
La pioggia è un altro fattore che può risultare “disturbante” (ma quante volte ho cantato sotto i goccioloni?), soprattutto la mattina, quando si deve entrare al lavoro ma ci si trova completamente fradici! Come detto, in questi casi poter disporre di un luogo coperto in cui cambiarsi e lasciare ad asciugare gli indumenti bagnati è fondamentale. Non ci fosse stato il garage dell’ufficio, avrei approfittato di quello dei miei genitori, poche centinaia di metri più in là. Non ci fosse stato nemmeno quello, avrei chiesto ad un amico, un conoscente, qualcuno disposto a cedermi un microscopico spazio per una bici e qualche abito di ricambio. Questo anche per dire che mai avrei rinunciato al ciclopendolarismo, e giammai mi sarei piegato a dover usare un mezzo motorizzato per fare qualche km!
Il ciclodiario mi ricorda poi che, agonisticamente parlando, molte sono state le soddisfazioni prese nel corso degli anni. La cosa più divertente dei primi anni era quella di piazzare la mia ruota sgangherata davanti a quella di modelli ben più attrezzati, “cavalcati” da personaggi vestiti di tutto punto… ma anche nel ciclismo l’abito non fa il monaco! Per uno che viene dall’agonismo esaperato non era difficile spuntarla giocando d’astuzia, sfruttando la scia e uscendo poi al primo accenno di difficoltà del malcapitato.
Con il tempo lo sguardo si è rivolto sempre più al cronometro, con dei tratti percorsi di buona lena. Questo ha portato giocoforza le mie attività ad assomigliare sempre più ad allenamenti piuttosto che a semplici trasferimenti casa-lavoro-casa. Così nel corso degli anni è sparito il cestino ed è comparso il borsello, che ha poi lasciato posto a… null’altro che le tasche della maglia da ciclismo.
E negli ultimi anni quindi, in quest’ottica prettamente agonistica, mi sono trovato a disporre della bici da corsa per una pedalata supplementare all’ora di pranzo, totalizzando così ben tre uscite in un giorno!
Nonostante un generale addolcimento del clima, non sono mancati nemmeno negli ultimi anni rientri a casa (presi larghi…) sotto la neve o la pioggia ghiacciata, con temperature sotto lo zero che avrebbero reso la cosa impossibile al comune impiegato. È il caso dell’11 dicembre 2017, giorno per il quale il ciclodiario racconta:
Che ci fa un vecchietto in bici, sotto un’abbondante nevicata, che apostrofa e gesticola contro una moltitudine di malcapitati automobilisti, tutti incolonnati nel disperato tentativo di raggiungere la città? Forse vorrebbe far capire a quei poveracci, inscatolati e scontenti, che i veri matti sono loro, matti e malati di una disabilità indotta, che li porta a rinunciare all’uso delle proprie gambe. Per fortuna la ciclabile cambia presto direzione e si allontana dalla Provinciale, lasciando il vecchietto meravigliosamente solo tra i fiocchi che cadono a grappoli e gli pneumatici chiodati che fendono la neve come una lama nel burro. Una meraviglia che fa cantare e dimenticare, anche se solo per un attimo, l’orrido quotidiano. Da notare che il vecchietto si è fatto poi anche il ritorno a casa, in serata, con il passaggio ai 670 metri di quota del Bellavista sotto una pioggia ghiacciata (un vero e proprio gelicidio: pioggia che cadeva e ghiacciava!). I 5 chilometri di discesa, al buio, sudato e bagnato fino al midollo, con la temperatura sotto lo zero, avrebbero ammazzato un toro… ma la bici è capace di renderci invincibili e insensibili
Ebbene, ritengo che sia proprio così. Il ciclismo innalza la soglia di resistenza alla fatica e alle intemperie, soprattutto quando queste cose non le puoi evitare rimanendo a casa, proprio perché la casa è al di là della fatica e delle intemperie :-D
La storia si è conclusa a fine 2018, quando per vari motivi sono rientrato a Bolzano. Non per questo ovviamente la mia attività ciclistica ha subito una flessione, anzi… ma la nostalgia per quei rientri “forzati”, per quel “dover” inforcare la bici in ogni situazione rimarrà per sempre. Troppe avventure, troppa gioia, troppa pioggia, sole, vento, neve, sfide… tutto indimenticabile!
Ma non è detto che, prima o poi, quei tempi possano ritornare