Sorbini, Bolca e Fiorenzuola
Diversi articoli pubblicati su questo sito (qui e qui per esempio) dimostrano il mio affetto per due località italiane molto distanti tra loro, non solo geograficamente: la veronese Bolca, sui Monti Lessini, con la sua straordinaria collezione di pesci dell’Eocene, e il parco marchigiano del Monte San Bartolo, territorio magicamente sospeso tra terra e mare. Ebbene, con mia grande sorpresa ho scoperto che queste due zone sono curiosamente legate alla vita di un uomo che ha amato e studiato entrambe. Si tratta dell’esimio scienziato pesarese Lorenzo Sorbini (1939-1997), geologo, paleontologo e museologo, la cui attenzione era rivolta soprattutto alle ittiofaune terziarie, proprio quelle presenti con splendidi esemplari fossili in Lessinia e sul San Bartolo.
Voglio nel mio piccolo rendere omaggio a quest’uomo, che tanto ha dato alla paleontologia, riportando le mie impressioni sull’esposizione a lui dedicata.
Grande è stato lo stupore quando ho varcato l’ingresso del piccolo ma prezioso museo paleontologico “L. Sorbini” di Fiorenzuola di Focara (mea culpa, per anni ci sono passato a pochi metri ignorando la sua esistenza!), in provincia di Pesaro-Urbino, e ho letto di questo personaggio. Incredibile: Lorenzo Sorbini ha coltivato, a ben altri livelli ovviamente, due mie grandi passioni: quella per il giacimento fossilifero del Monte Postale, vicino a Bolca (VR), con la sua celeberrima “Pesciara”, e quella per il sito (anch’esso di grande rilevanza paleontologica) del Monte Castellaro, nel parco del Monte San Bartolo (PU).
Tra i meriti di Sorbini, il cui contributo ha varcato i confini nazionali, ricordiamo una revisione nella classificazione dei reperti di Bolca (con l’introduzione di nuovi taxa, oggi parte integrante del patrimonio paleontologico internazionale), la comparazione delle specie fossili eoceniche con quelle tropicali dei nostri giorni e il nuovo allestimento del famoso museo gestito dalla famiglia Cerato. Sul Monte Castellaro egli rinvenne inoltre, con varie campagne di scavo tra gli anni ’80 e ’90, importanti testimonianze dell’ambiente miocenico. Fu inoltre instancabile promotore di mostre tematiche e collaborò con prestigiosi istituti stranieri.
Il Prof. Sorbini fu anche direttore del Museo di Bolca e per 15 anni, a coronamento di una brillante carriera, di quello di Storia naturale di Verona. A molti anni dalla morte il suo ricordo è ancora vivo sia nell’ambiente scientifico pesarese che in quello veronese, come testimoniato dai convegni e dai seminari che si tengono in sua memoria.
Il museo di Fiorenzuola di Focara, che accoglie alcune collezioni private donate all’Ente Parco, è stato inaugurato nel dicembre 2008 nel Palazzo comunale. Esso segue il solco della tradizione paleontologica pesarese tracciato fin dai tempi del naturalista Giambattista Passeri, che nel 1775 citava i resti fossili di pesci e foglie nelle marne del Monte Castellaro; oggi questo sito è riconosciuto dalla Società Paleontologica Italiana come uno dei più importanti in Italia.

L’ingresso del museo nel Palazzo comunale.

Una parte dell’esposizione.

La targa che ricorda il Professor Sorbini.

Non solo fossili: nel museo possiamo trovare anche i pezzi della collezione di ceramiche pesaresi “Umberto Marchetti”.
Alcuni reperti hanno importanza mondiale: è il caso del fossile di una libellula perfettamente conservata, in cui è possibile osservare la nervatura delle ali con la colorazione originale. Si tratta di un esemplare unico al mondo di Italolestes stroppai, rinvenuto da un altro “pezzo da novanta” della scienza pesarese, l’appassionato ricercatore in campo storico, artistico e naturalistico Gabriele Stroppa, co-fondatore nel 1981 di un altro importante museo paleontologico, quello di Mondaino (RN).
L’abbondanza di ittioliti (fossili di pesci), filliti (fossili di vegetali), coproliti (escrementi fossili), insetti e resti di uccelli fossilizzati provenienti dal giacimento di Monte Castellaro ci parla del drammatico processo per il quale nel periodo Messiniano (tra 6 a 5,3 milioni di anni fa, con acme tra 5,6 a 5,5 milioni di anni fa) il Mediterraneo perse gran parte del suo volume d’acqua, lasciando spazio a una serie di bacini salati. Non è chiaro se ciò fu dovuto a movimenti tettonici oppure a variazioni del livello degli oceani che ridussero o annullarono l’apporto di acqua dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra; in ogni caso il contributo dei fiumi europei non fu in grado di alimentare adeguatamente il Mediterraneo, il cui livello subì un calo di oltre 1000 metri, entrando in una fase chiamata di “lago-mare”. Ricordiamo che la profondità media attuale del Mare nostrum si aggira sui 1500 metri e quella massima supera i 5200.
Poi l’Atlantico riprese ad alimentare il Mediterraneo e la situazione tornò a essere grosso modo quella attuale. Come detto tutti questi eventi, che ovviamente si svolsero nell’arco di centinaia di migliaia di anni, sono registrati nelle rocce del Monte Castellaro, da cui sono stati estratti molti dei fossili esposti a Fiorenzuola.
Alla base del modesto rilievo, che tocca i 200 metri di quota, troviamo infatti marne bruno scure a fucoidi riportanti tracce del pascolo di organismi marini. Esse risalgono al piano tortoniano (vedi figura) e sono testimoni di un ambiente di mare aperto; da qui provengono infatti resti di pesci adatti alla vita in profondità e di bivalvi.

Nell’immagine vengono evidenziati i due “piani” (periodi di tempo) meglio rappresentati sul Monte Castellaro. Si tratta del Tortoniano e del Messiniano.
Risalendo il versante si incontrano i livelli evaporitici messiniani, che hanno restituito numerosi ittioliti appartenenti a taxa in grado di sopportare forti variazioni di salinità (si parla di fauna eurialina). Siamo quindi nella fase in cui il Mediterraneo andava perdendo volume. La parte superiore della successione messiniana contiene anche numerosi resti di insetti tra cui ditteri (mosche, zanzare), lepidotteri (farfalle), coleotteri e odonati (tra cui la già citata Italolestes stroppai), uccelli (piume e arti) e alcuni mammiferi, segno che erano presenti ampie zone emerse. La flora di quel periodo era dominata da specie di clima temperato come pini, sequoie, querce, aceri, salici e carpini, dei quali sono stati fossili di semi alati, oltre a forme tropicali come il ginkgo.
Dagli strati messiniani provengono i reperti più interessanti: frequenti sono infatti gli esemplari di piccoli Cyprinodontidi, Aphanius crassicaudus che presentano un’ipertrofia dello scheletro, detta “pachiostosi”, il cui peso maggiorato si rivelò utile per bilanciare la forte spinta idrostatica dovuta all’elevata salinità (e quindi densità) dell’acqua. Si tratta di un argomento sul quale il prof. Sorbini era ancora alla ricerca di una risposta al momento della sua prematura scomparsa.
Nella sua pubblicazione (linkata a fondo pagina) “La crisi di salinità del Messiniano: il contributo degli ittioliti del giacimento di monte Castellaro”, la dr.ssa Nicoletta Bedosti (attuale direttrice del museo) tratta a fondo la questione della pachiostosi nelle faune messiniane con analisi istologiche, geochimiche e spettrografiche da cui sono scaturite interessanti considerazioni. È praticamente certo che la causa della pachiostosi va individuata nelle peculiari condizioni ambientali che caratterizzarono quel periodo. Particolare attenzione è stata rivolta alla scarsa concentrazione degli ioni di magnesio nel tessuto osseo delle specie in questione. Essendo lo ione Mg un inibitore della formazione di un minerale (idrossiapatite) che irrobustisce le ossa, si ipotizza che la comparsa della pachiostosi sia dovuta alla mancanza di magnesio nelle acque in cui l’animale viveva. Senza questa particolare mutazione il piccolo pesciolino, che misurava non più di 5-6 cm (ancor oggi presente nel Mediterraneo con altre specie), difficilmente sarebbe potuto scendere in profondità, con inevitabili ripercussioni sulla possibilità di procacciarsi il cibo e sfuggire ai predatori. Si trattò quindi di una di quelle anomalie che in natura risultano vincenti.
Curioso notare che negli attuali bacini di mare ad alta salinità non si trovano specie affette da pachiostosi, anche se sono stati osservati esemplari con un’ossatura più robusta. Un bel dilemma che darà altro filo da torcere agli scienziati!
Va sottolineato che durante le campagne di scavo i due fenotipi di Aphanius (quello “normale”, a scheletro sottile, e quello ipertrofico) sono stati rinvenuti in strati a diretto contatto; questo ci parla di ambienti a salinità diversa che si alternavano nel tempo e corrobora l’ipotesi che nel Messiniano il Mediterraneo non giunse mai a completo disseccamento, come si pensava nei decenni passati.
Alcune osservazioni sul museo: l’area espositiva è di ridotte dimensioni, ma ben strutturata e completa di tabelle esplicative. Si trova al secondo piano di un edificio storico il cui accesso non è agevole per i diversamente abili, anche se dopo qualche scalino è presente un ascensore che porta al piano superiore, dove ha sede l’esposizione. La custodia del museo, da quanto ho potuto capire su internet, è affidata a volontari la cui presenza non è costante. In occasione delle mie due visite (tra giugno e luglio 2018) non ho trovato nessuno. È un peccato, perché i reperti esposti sono di grande importanza e l’eventualità di furti o danneggiamenti non è da trascurare.
La visita al museo è raccomandata anche a chi non coltiva la passione per la paleontologia. Può rappresentare una valida alternativa a un pomeriggio a zonzo nei centri commerciali; da sottolineare che in paese ci sono diverse possibilità di ristoro grazie a una piadineria con vista mare, un ristorante altrettanto panoramico e due bar. Per chi volesse fare quattro passi c’è la possibilità di scendere alla spiaggia lungo una strada asfaltata (chiusa al traffico) in forte pendenza. Consigliatissima inoltre una visita ai giardinetti posti ai piedi dei ruderi della chiesa di Sant’Andrea, risalente al XII secolo, con uno splendido panorama sul mare.
Un paio di km più a nord si trova un altro splendido borgo arroccato su una collina, Casteldimezzo, e poco oltre uno strepitoso punto panoramico chiamato “il Tetto del mondo”.
In sostanza a Fiorenzuola si può facilmente abbinare cultura, ambiente e gastronomia per trascorrere un pomeriggio piacevolmente tranquillo, il tutto a pochi chilometri dalla vivace costa romagnola.
Concludo con una punta di rammarico: peccato non aver incontrato il professor Sorbini, sarebbe stata una gioia immensa poterlo conoscere!
Spunti per approfondimenti:
Scheda della Società paleontologica italiana sul giacimento fossilifero del Monte Castellaro
Pubblicazione della Dr.ssa Bedosti in occasione del suo dottorato di ricerca
Pagina della Società paleontologica italiana dedicata a Lorenzo Sorbini
Articolo del giornale “L’Arena” a vent’anni dalla morte del prof. Lorenzo Sorbini
Scheda del museo “L. Sorbini” sul sito ufficiale del Parco del San Bartolo
Ricordo di Lorenzo Sorbini tramesso da Telepace
Servizio televisivo del TGR Marche con intervista alla dr.ssa Bedosti
AGGIORNAMENTO GIUGNO 2021: MUSEO CHIUSO PER COVID
In occasione di uno dei miei passaggi a Fiorenzuola, ho verificato che il museo è ancora chiuso causa provvedimenti anti-Covid dei mesi precedenti.
AGGIORNAMENTO APRILE 2022
In aprile 2022 ho trovato il portone del museo aperto, privo però delle targhe. Forse una ristrutturazione in corso? Ero di passaggio in bici e non ho indagato oltre.
AGGIORNAMENTO SETTEMBRE 2022
Nulla di nuovo da segnalare. Portone aperto, ma niente targhe. Nessun segno di lavoro in corso.
AGGIORNAMENTO MAGGIO 2023
È tornata la targa del museo all’entrata. Ma il portone l’ho trovato sempre chiuso, sia in aprile che a maggio.