Una giornata a Velo Veronese

Ho già avuto modo di esprimere il mio affetto per la Lessinia, terra di contenuti paesaggistici, geologici e paleontologici di notevolissimo spessore. In questo pezzo racconterò di una giornata trascorsa nel settembre 2018 nella zona di Velo Veronese, dove in un fazzoletto di terra si possono ammirare bellezze naturali da far girare la testa.

La giornata è iniziata a Camposilvano, una piccola frazione a pochi chilometri da Velo Veronese, con una visita al locale museo. Esso è stato inaugurato nel 1999 grazie alla Comunità montana della Lessinia e all’instancabile attività di Attilio Benetti (1923-2013), noto come “el Tilio” o anche “l’orso della Lessinia” per i suoi studi paleontologici e per la stazza… piuttosto appariscente! In effetti ancor prima di entrare nel museo non può mancare uno sguardo alla casa in cui quest’uomo abitò e un pensiero colmo di gratitudine per lui che, pur sprovvisto di titoli scolastici altisonanti, seppe dare un contributo enorme nello studio della Lessinia per quanto riguarda la paleontologia, la geologia, la zoologia, la speleologia e anche la lingua e le tradizioni locali! Non dimentichiamo che in suo onore un brachiopode è stato chiamato “Benetticeras Benettii” e che egli per primo scoprì e classificò l’ammonite “Lessinorhynchia Benettii”.
Il museo contiene una ricca collezione di reperti geologici e paleontologici provenienti dai dintorni, molti dei quali testimoniano la presenza di un antico mare precedente alla formazione delle Alpi; stiamo parlando di un periodo di tempo molto esteso, tra il Giurassico (era Mesozoica, circa 200 milioni di anni fa) e l’Eocene (era Cenozoica, fino a circa 30 milioni di anni fa). L’esposizione è completata da fossili provenienti da varie parti del mondo in modo da avere una visione organica dell’evoluzione della vita nel corso di centinaia di milioni di anni. È presente inoltre un’area dedicata alla preistoria, corredata di reperti provenienti dalla vicina grotta del Covolo e dal villaggio dell’età del bronzo di San Mauro di Saline. Ma il pezzo forte del museo è la ricostruzione dello scheletro di Ursus Spelaeus (Orso delle caverne, in questo caso si parla di decine di migliaia di anni fa) rinvenuto nei covoli che si aprono lungo la valle che porta a Selva di Progno e che formano un complesso di gallerie scavate dall’acqua nelle dolomie del Lias superiore (180-170 milioni di anni fa).
Al museo è possibile acquistare l’interessante pubblicazione periodica “La Lessinia – ieri oggi domani” fondata dal prof. Sorbini, al quale ho già dedicato un articolo. Si tratta di un quaderno culturale che raccoglie una miriade di articoli dal taglio molto diverso tra loro, tutti incentrati sulla Lessinia.
Il museo è anche un ottimo “campo base” per ulteriori esplorazioni nei dintorni. Da qui possiamo prima di tutto metterci in cammino per raggiungere in non più di 15 minuti il Covolo di Camposilvano, una grotta costituita da un enorme pozzo del diametro di oltre 100 metri e profondo 60, sul cui fondo si apre il covolo propriamente detto, largo 70 metri per una altezza di 35 e una profondità di oltre 50. Da notare che l’imbocco del sentiero, proprio a fianco del museo, è sbarrato da un cancello aperto negli stessi orari dell’esposizione (in estate tutti i giorni tranne lunedì, in primavera e autunno solo festivi e prefestivi, in inverno su prenotazione) e la visita è compresa nel prezzo del biglietto, che nel 2018 è di 3,50 euro.
Una delle particolarità di questa grotta è che la temperatura dell’aria si mantiene molto bassa in tutte le stagioni, tanto che in passato questo luogo veniva utilizzato come una sorta di enorme cella frigorifera. Avvicinandosi a questo vero e proprio monumento della Natura la vegetazione cambia radicalmente, passando dalle latifoglie a piante erbacee pioniere, tipiche dei climi freddi. Si dice addirittura che nel Covolo nevichi in estate, ma si tratta ovviamente di vapore acqueo presente in loco o di gocce d’acqua che percolano dall’alto e che formano piccoli cristalli di ghiaccio.
L’origine del covolo mi è stata ben spiegata dal prof. Giuseppe Corrà durante il nostro incontro nel 2013: negli ultimi due milioni di anni la roccia in posto, chiamata Ammonitico Rosso, è stata sottoposta a un’intensa fase di dissoluzione carsica, tanto che si sono formate due caverne sovrapposte. La volta di quella superiore ha subito nelle ultime migliaia di anni ripetuti crolli, mentre quella inferiore ha retto almeno parzialmente. Stiamo parlando di eventi piuttosto recenti e ancora in fieri, al punto che una volta giunti in prossimità del covolo l’idea per nulla rassicurante è che alcuni degli enormi prismi di roccia semisospesi possano staccarsi proprio in quel momento… eventualità molto remota, ma non del tutto da escludere!
La frequentazione umana del Covolo risale a tempi antichissimi (oltre 70.000 anni fa) ed è proseguita anche in epoca romana e medioevale; nel Museo di Camposilvano vengono custoditi reperti come ossa di animali residui di battute di caccia, pugnali e arnesi in selce, armi romane e punte di frecce di balestre.
Nello stesso fazzoletto di terra a cui accennavo prima trova posto anche la singolarissima “Valle delle Sfingi”. Per raggiungerla abbiamo due opportunità: la via più breve è quella di attraversare Camposilvano (meglio lasciare l’auto al museo, le possibilità di parcheggio non sono molte) e proseguire sulla strada provinciale in direzione “Parpari” e “San Giorgio” fino a intravedere sulla destra, dopo poche centinaia di metri in salita, il “Sengio dell’Orco”, più conosciuto come “il Fungo di Camposilvano”, che ci indica la direzione da seguire; la seconda possibilità è quella di uscire dal museo e proseguire in leggera salita sulla stradina asfaltata verso la contrada Cuneck.

Cuneck, una delle tante minuscole contrade che punteggiano l’alta Lessinia

Superata la minuscola località si sale a sinistra per meno di 1 km e si svolta ancora sulla sinistra per raggiungere la Valle delle Sfingi. Essa è un’area di dimensioni limitate (poche centinaia di metri di larghezza e lunghezza) che ospita una serie di monoliti di origine carsica dovuti a erosione differenziale da parte dell’acqua, capace di attaccare con la sua leggera acidità il carbonato di calcio delle rocce calcaree. Essi si sono infatti originate per la diversa resistenza all’erosione e alla disgregazione di due diversi tipi di calcare: il Rosso Ammonitico (più resistente) e l’Oolite di San Vigilio (più tenera). Anche l’azione levigatrice dei ghiacciai pleistocenici ha svolto il suo ruolo nel modellare le sfingi. Questo luogo è davvero singolare: i monoliti sono grossolanamente allineati lungo il fondo della vallecola e sono più o meno distanziati tra loro, tanto da dare vita in alcuni punti a curiosi labirinti. Intendiamoci: di sfingi l’alta Lessinia è piena, ma in questa zona esse offrono la più grandiosa scenografia.

Scorcio della Valle delle Sfingi

Terminata la scorpacciata geologica, possiamo dedicare un po’ del nostro tempo per visitare un altro punto di notevole interesse presente in zona, a pochi chilometri di distanza dal museo: il monte Purga, un panoramicissimo rilievo che domina il paese di Velo (1087 m) a 1250 metri di quota. Con una breve ma irta salita che parte dal cimitero della piccola località, tenendo come riferimento la cappella ottocentesca presente sulla cima, si raggiunge uno dei più bei punti panoramici sulla Lessinia, con una spettacolare visuale che abbraccia non solo l’altipiano, ma anche i monti circostanti (dal Carega al Baldo), il lago di Garda, la pianura bresciana, veronese e vicentina e sullo sfondo i Colli Euganei e gli Appennini. Il termine “purga” deriva con ogni probabilità dal tedesco “Burg”, castello. In epoca preistorica qui sorgeva infatti un punto fortificato e di osservazione (castelliere), utilizzato anche in epoca romana. Nelle giornate limpide la vista è davvero straordinaria!

Dalla Purga di Velo Veronese: da destra a sinistra il Monte Pastello, il Garda e la Pianura Padana.

Una volta scesi dalla Purga c’è la possibilità di gustarsi degli ottimi dolci in un caffè pasticceria proprio ai piedi del piccolo rilievo… ma non voglio fare pubblicità e lascio quindi ai lettori l’onere di scoprire il luogo esatto!  ;-)

Da tenere presente che gli itinerari descritti si svolgono in una zona montuosa tra i 1000 e i 1300 metri di quota: è preferibile quindi evitare i mesi più freddi.

Velo Veronese, piccola e graziosa località che in estate si anima per l’afflusso di turisti.

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