Un’avventura d’altri tempi
L’ispirazione per questo pezzo è arrivata dal mio caro papà Carlo. Lui mi ha avvicinato al mondo della bicicletta e mi ha descritto il ciclismo d’altri tempi, fatto di strade sterrate e volti imbrattati di polvere. L’avventura sui pedali che gli sentivo raccontare con maggior entusiasmo era quella che nel 1962 lo portò sul lago di Garda, per vedere all’opera uno dei suoi beniamini…
Bronzolo, un paesello lungo il fiume Adige poco distante da Bolzano. Sono le 7 del mattino di sabato 1° settembre 1962. Un ragazzo appena diciottenne saluta la mamma e inforca la sua bici da corsa marca Bianchi.
È mio papà Carlo.
Si avvicina il momento tanto atteso. L’indomani a Salò, sul lago di Garda, si svolgeranno i campionati mondiali di ciclismo su strada e un certo Ercole Baldini, “il treno di Forlì”, sarà tra i partenti. Mio papà stravedeva per il ciclista romagnolo, e ne aveva ben donde. Tra il 1956 e il 1958 Baldini si era aggiudicato praticamente tutto, dal record dell’ora a una lunga serie di titoli italiani e mondiali, nonché le Olimpiadi e il Giro d’Italia.
Il mio giovane papà è vestito come ci si poteva vestire all’epoca, senza le tante diavolerie che sarebbero arrivate molto più avanti. A dire la verità, il suo abbigliamento assomiglia a quello di tutti i giorni. Niente fondello ai pantaloncini e niente casco, accessori che all’epoca non erano alla portata di tutti. Un paio di calzoni al ginocchio, una maglia che aveva visto tempi migliori, scarpe con la suola rigida e poco altro.
Quel ragazzo che inizia a stantuffare dopo aver stretto forte le cinghiette dei pedali non è un novellino. Negli anni precedenti, tutte le salite del circondario erano state conquistate dalla sua pedalata rotonda e potente. Non dimentichiamo che all’epoca molte strade erano “bianche” e che l’asfalto sarebbe arrivato tempo dopo.
Ecco Carlo imboccare la statale che attraversa il paese. Una strada per nulla trafficata secondo i canoni moderni, ma che nascondeva già dei pericoli. Poco tempo prima un investimento mortale, avvenuto davanti alla chiesa, aveva suscitato tra i compaesani grande sgomento. Mio padre ricordava bene quell’episodio.
La Bassa inizia a scorrere lungo strade punteggiate da ghiaia e fango, mentre insidiosi strappetti pizzicano le gambe all’entrata dei centri abitati. Le tangenziali, a quei tempi, non si sapeva nemmeno cosa fossero.
Molte le soste alle striminzite fontanelle dei borghi lungo l’Adige e molti i morsi ai panini premurosamente infilati da mamma Emma nella rudimentale borsetta sistemata sotto la sella: una sorta di bikepacking ante litteram!
Passa il confine con il Trentino, poi inizia la bassa valle dell’Adige che le carte geografiche chiamano Vallagarina e che sfocia in Pianura padana poco a nord di Verona.
È ormai pomeriggio, i primi 130 km sono andati. Ne mancano quasi cinquanta.
Quando si apre la pianura, dei panini non sono rimaste nemmeno le briciole. È ora di far ricorso ai pochi spicci a disposizione per un po’ di pane e salame, giusto le energie per superare Peschiera e Desenzano.
Finalmente l’arrivo a Salò, premiato da una bella frittata in uno dei pochi locali aperti a quel tempo in paese. Mio padre mi descrisse la sorpresa nel trovarsi al tavolo circondato da persone vestite in modo distinto, molte a parlare lingue straniere. Per lui, alle prese con la prima vera trasferta, fu un momento particolare. In effetti quel Mondiale attirò, secondo le cronache, davvero tanta gente. Tifosi e giornalisti, molti di nazionalità straniera.
Dormire? Ovviamente un optional. L’albergo era roba da signori. Carlo si accovaccia alla meglio su un fondo di paglia con un occhio alla bici, e così passa la notte.
Il mattino successivo le strade di Salò sono già affollate. Molti sono i sostenitori di Van Looy, ma anche Gaul, Anquetil e Poulidor possono giocare le proprie carte in quel circuito ondulato su cui girare per trecento chilometri. Le punte italiane sono Pambianco e Balmamion ma mio papà, lo sappiamo, è lì per Baldini.
Carlo si avvicina all’area di partenza, è tra i primi al ritrovo, non ci sono controlli stringenti come al giorno d’oggi, curiosa un po’ ovunque trascinandosi dietro la sua Bianchi, sente parlottare, gli sembra addirittura che qualcuno nomini il suo eroe e poi… che colpo di fortuna! Baldini compare con un compagno di squadra a pochi metri da lui! Forse discutono della tattica da adottare in gara o forse parlano semplicemente dei fatti propri, chissà.
Carlo lancia un urlo: “Ercole, Ercoleee!”, Baldini fa per girarsi, aguzza lo sguardo a chiedersi chi fosse a invocarlo con tanta foga… ma un membro dell’entourage richiama la sua attenzione, lui si gira, risale in sella e si allontana zigzagando sulla bicicletta. Mio papà prova a sbracciarsi, ma non c’è verso. Dannazione, quando capiterà un’altra occasione così?
La gente si accalca, la gara inizia, i primi chilometri scorrono via veloci. Carlo rimedia un posticino da cui scrutare i vari passaggi. Ogni giro è un tuffo al cuore, la speranza di rivedere il proprio eroe è grande, ma il gruppo sembra una macchia multicolore che scivola via in un attimo. A poche tornate dalla fine parte una fuga, la classica “fuga bidone” che i big snobbano ma che poi si rivela vincente. È l’episodio che caratterizzerà quel mondiale.
Non passa molto che il mormorio del pubblico porta a Carlo una pessima notizia: vista la malaparata, molti nomi importanti si sono ritirati e Baldini è tra questi! La delusione è grande, la voglia di mollare tutto ancora di più!
Vincerà Stablinski, non proprio un Carneade, ma a quel punto mio papà sarà già in sella, sulla via del ritorno, e giungerà a casa a tarda sera sfatto e deluso.
A mamma Emma, che ha sempre avuto un debole per quel figlio mite e introverso, il compito di ascoltare e rinfrancare.
Pochi mesi dopo, Carlo inizierà a lavorare sul serio e per avventure del genere non ci sarà più tempo.
Rimarrà il ricordo di quell’urlo “Ercole, Ercoleee!”. C’è mancato davvero poco.
Fonte immagine: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/f/ff/Ercolebaldini.jpg