Vulcani in Alto Adige?

Al giorno d’oggi l’Alto Adige può contare su di un rischio sismico e vulcanico che rasenta lo zero. Se altre forze della natura (per esempio l’azione erosiva esercitata dagli agenti atmosferici) lavorano senza sosta da milioni di anni, dei terremoti giunge solo una lontana eco da zone relativamente vicine (Friuli, Veneto, Emilia, Slovenia), mentre l’eventualità di una eruzione vulcanica non va nemmeno considerata: bisogna scendere fino in Campania, al cospetto del Vesuvio, per trovare un vulcano degno di questo nome.

Rischio sismico in Italia: l’Alto Adige è una zona virtualmente sicura. La versione completa della mappa è visualizzabile al link https://zonesismiche.mi.ingv.it/documenti/mappa_opcm3519.pdf

Eppure non è sempre stato così.
C’è stato un tempo molto lontano in cui tali fenomeni interessarono pesantemente l’area altoatesina, stravolgendone più volte l’aspetto. Si trattò di svariati eventi vulcanici, molto distanti tra loro nel tempo; alcuni di essi sono talmente remoti che mai nessuno, a meno di disporre della macchina del tempo, potrà mai ricostruirne se non per sommi capi lo svolgimento.
È il caso per esempio del vulcanismo legato all’orogenesi ercinica (l’orogenesi è quel processo geologico che porta alla formazione di una catena montuosa), risalente al periodo Carbonifero, più o meno a metà del lunghissimo arco temporale coperto dall’Era Paleozoica. In quel tempo sulla Terra dominavano gli anfibi e all’avvento del regno dei Dinosauri mancavano ancora duecento milioni di anni.
Questa orogenesi, precedente a quella alpina che ha dato vita alle montagne che conosciamo, interessò anche il territorio del futuro Trentino Alto Adige. Eruzioni e terremoti avranno sicuramente accompagnato la nascita di questa antichissima catena di montagne, i cui resti costituiscono tra l’altro le “fondamenta” delle nostre Dolomiti (il cosiddetto “basamento metamorfico”), ma, come detto, non molto può essere detto a riguardo, dato che le forze della Natura hanno avuto ben quattrocento milioni di anni per nasconderne le tracce.

Vulcani in Italia: in nero quelli spenti (con l’indicazione, in migliaia di anni fa dell’ultima fase eruttiva). Alcuni sistemi (tra cui i Colli Albani e Pantelleria) sono quiescenti, ma per gli studiosi sono plausibili “risvegli” futuri.

Meglio inquadrabile è invece ciò che accadde sul finire dell’Era Paleozoica, più precisamente nella fase terminale dell’ultimo dei periodi che la compongono, il Permiano.
Da allora sono trascorsi quasi 280 milioni di anni, eppure la memoria di quegli eventi è ancora evidente sulle rocce altoatesine. Non serve nemmeno uscire da Bolzano, perché la città stessa fa parte di una gigantesca caldera, ovvero una depressione, dalla forma grossolanamente circolare, derivante dallo sprofondamento di una camera magmatica che proprio alla fine del Permiano eruttò un’enorme quantità di lava. L’eruzione fu la più imponente della storia del continente europeo; non ve ne saranno altre di tale potenza nei successivi duecentottantamila millenni.
Non si trattò di un singolo fenomeno, ma di una serie di emissioni laviche che si protrassero per milioni di anni e che andarono a costituire, strato dopo strato, una struttura tabulare del diametro di duemila chilometri quadrati e dello spessore di due chilometri. È la famosa “piattaforma porfirica altoatesina”, dalla quale al giorno d’oggi si estrae una rinomata qualità di porfido e che costituisce una voce non indifferente nel panorama economico regionale. In termini tecnici, il materiale di cui si compone la piattaforma fa parte del Complesso Vulcanico Atesino, la cui articolazione in due distinti strati rivela la presenza di altrettante fasi.
Nella prima, che andrà a costituire la parte inferiore, si osservano riolite e andesite, rocce effusive acide (ricche quindi in silicio ed alluminio), che si originano da un magma piuttosto viscoso, lo stesso che, quando si solidifica in profondità, dà origine al granito. In questo caso, invece, il magma poté fuoriuscire, dando vita a una serie di eruzioni di tipo vulcaniano (dall’isola Vulcano, nell’arcipelago delle Eolie), ma solo dopo aver raggiunto nel sottosuolo valori di pressione altissimi.
L’esplosione che si produce in questi casi è di una potenza terrificante: la lava e i gas scagliati all’esterno si disperdono fino a distanze nell’ordine di decine e decine di chilometri, distribuendo una gran quantità di materiale semifuso. Questa prima fase portò all’accumulo di una massa rocciosa bruno-rossastra. Nel corso del tempo le eruzioni cambiarono modalità, il magma divenne ancor più viscoso e subentrò una seconda fase, durante la quale le eruzioni si fecero ancor più devastanti, di tipo peleeano, caratterizzate dalla presenza di nubi ardenti, vere e proprie nuvole di fuoco che si abbattono ad altissima velocità sui territori circostanti facendo tabula rasa di tutto ciò che trovano sul loro cammino.
Al giorno d’oggi, nonostante l’erosione e l’orogenesi alpina ne abbiano in alcuni casi stravolto i connotati, i resti della piattaforma porfirica altoatesina sono ben visibili nei rilievi che orlano il versante orografico destro della Val d’Isarco, da Ponte Gardena a Bolzano, e della Valle dell’Adige, dal capoluogo altoatesino a Ora, dove la faglia della Val di Fiemme separa i porfidi dai calcari mesozoici. Altre imponenti coltri porfiriche si trovano in Trentino, sull’Altipiano di Pinè, nella Valle del Fersina e nella Valle di Cembra, dove esistono ancor oggi grandi cave di questo materiale.

L’ammasso porfirico del Colle sovrastante Bolzano. Fonte immagine: Wikipedia

Non è difficile distinguere tale roccia, generalmente di colore rosso bruno, mentre si percorre la Valle dell’Adige. Il rapido raffreddamento a cui è spesso andata incontro subito dopo l’eruzione ha prodotto una particolare fessurazione, ben visibile per esempio sui versanti del Monte di Mezzo, il rilievo che separa la Bassa Atesina dall’Oltradige.

La struttura colonnare del porfido (ignimbriti riolitiche).

Tra una manifestazione vulcanica e l’altra vi erano dei periodi di tranquillità durante i quali piante ed animali potevano riguadagnare il terreno perduto. Ma il clima dell’epoca non aveva nulla a che fare con quello attuale: un territorio semidesertico è l’immagine che meglio rappresenta la situazione permiana.
Crateri, bocche vulcaniche e caldere di varie dimensioni punteggiarono un po’ tutta la regione. Alcuni di essi sono giunti fino ai nostri giorni, per esempio quelli che attualmente ospitano i laghi di Monticolo.
“Contemporaneamente” all’entrata in scena dei grandi dominatori dell’era Mesozoica, i dinosauri, la pace torna a regnare nella nostra regione; un mare calmo e poco profondo invade gradualmente l’area della futura Italia centro-orientale; si tratta della Tetide, il grande oceano che farà da culla alle Dolomiti. Una mole enorme di sedimenti di origine organica e inorganica si accumula sul suo fondo per milioni di anni, per tutta la durata dei primi due periodi del Triassico, lo Scitico e l’Anisico, dando vita alle gigantesche masse calcaree della Marmolada, del Latemar e di tutte le altre vette dolomitiche.
Poi, d’improvviso, nel periodo chiamato Ladinico, ecco l’instaurarsi di una fase vulcanica violentissima, della durata di poche centinaia di migliaia di anni, ma sufficienti a dare un’impronta fondamentale alle nostre montagne.
Proprio l’alternarsi di rocce bianchissime a scure masse laviche ha reso infatti le Dolomiti uno dei più noti gruppi montuosi al mondo. Ancora una volta l’Alto Adige si trova a essere un distretto vulcanico di primaria importanza. Al centro di molte placide scogliere coralline sorsero in breve tempo enormi coni fumanti, i cui resti sono visibili ancor oggi. Il fenomeno si manifestò soprattutto nella zona di Predazzo in Valle di Fiemme, dove un gigantesco apparato vulcanico fu in grado di vomitare per millenni ingenti masse di lava, stravolgendo la tranquillità di quello che era stato un incantevole paradiso tropicale.
L’immagine di Stromboli rende l’idea di quello che poteva essere la situazione: un luogo dagli scorci incantevoli, quasi caraibici, in cui la tranquillità veniva periodicamente rotta da violente esplosioni e spettacolari eruzioni di lava basaltica. Una visione panoramica del periodo sarebbe risultata davvero suggestiva: enormi vulcani, atolli verdissimi e bianche scogliere coralline bruscamente interrotte da filoni nerastri ancora fumanti; un mare cristallino intorbidito in più punti da nubi di cenere (ialoclastiti) originatesi da eruzioni sottomarine.
In termini geologici questa fase non durò molto: meno di un milione di anni. Molte sono le ipotesi che cercano di spiegare questo evento parossistico. Alcuni studiosi ritengono che la crosta terrestre fu sul punto di lacerarsi per dare il via all’apertura di un nuovo oceano, fenomeno poi arrestatosi, altri vedono in essi un evento locale e avulso da altri coevi e di ben più vasta portata, come il continuo ampliarsi della Tetide e l’inizio della frammentazione del supercontinente chiamato Pangea.
Qualunque possa essere stata la causa, la calma tornò presto su tutta la regione. Migliaia di generazioni di dinosauri si alternarono sulla Terra, ma per moltissimo tempo più nulla turbò il ritrovato paradiso altoatesino. I sedimenti marini sigillarono gradualmente le testimonianze dei vulcani ladinici e il tempo riprese a scorrere pigramente…
L’ultima fase vulcanica che ha caratterizzato la regione alpina è quella corrispondente alla formazione delle Alpi. Un’orogenesi di tale portata non può che essere stata accompagnata da manifestazioni sismiche e vulcaniche. Eppure, proprio di questa fase, che è la più recente, non sono rimaste molte tracce, perlomeno in Alto Adige. Questo perché l’erosione da allora ha lavorato alacremente, disgregando le formazioni rocciose recenti; oltretutto negli ultimi due milioni di anni si sono registrati ben sei importanti fasi glaciali, durante le quali i ghiacci furono in grado di disperdere verso la pianura enormi quantità di materiale strappato dal cuore della catena alpina.
È comunque indubbio che si sta parlando di un periodo movimentato, come testimoniato per esempio nei monti Lessini. Qui tracce fossili e formazioni rocciose consentono di ricostruire un ambiente lagunare popolato da una miriade di specie animali, molto simile agli attuali habitat tropicali. Tale contesto veniva disturbato da rovinose eruzioni, in grado di ricoprire rapidamente l’ambiente circostante cristallizzando in una sorta di “istantanea” le forme di vita animali e vegetali presenti. Anche i colli Euganei, con le loro rinomate acque termali e i rilievi di forma conica, ricordano i “recenti” (tra 40 e 30 milioni di anni fa) trascorsi vulcanici.
Anche questi ultimi 50 milioni di anni hanno dunque visto grandi stravolgimenti; da notare per esempio che alcuni lembi della piattaforma porfirica, originariamente orizzontale, tocca oggi altitudini superiori ai duemila metri (il Monte Villandro sopra Sarentino, per esempio). Come detto, non sono però noti eventi vulcanici legati all’orogenesi alpina in Alto Adige.

1 Response

  1. Nordlys ha detto:

    Colli Albani e Pantelleria sono ancora attivi. I Colli Albani tra l’altro sono in fase d’irrequietezza.

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